sabato, settembre 28, 2002

IRAQ: “USARE LA FORZA SOLO
COME ULTIMA RISORSA”.

L’APPELLO DELLA SEGRETARIA GENERALE
DI AMNESTY INTERNATIONAL
AL CONSIGLIO DI SICUREZZA



Irene Khan, Segretaria Generale di Amnesty International, si e’ rivolta nelle ultime ore a tutti i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, impegnati nella discussione su una nuova risoluzione riguardante l’Iraq, chiedendo loro di assicurare che sara’ fatto ogni sforzo per risolvere l’attuale situazione con mezzi pacifici. Segue il testo della lettera:

A tutti i membri del Consiglio di Sicurezza
Mentre il Consiglio di Sicurezza e’ impegnato nella discussione su una nuova risoluzione riguardante l’Iraq, vi scrivo per sollecitarvi a porre al centro delle vostre deliberazioni la protezione dei diritti umani e le preoccupazioni umanitarie per la vita e la sicurezza della
popolazione irachena.
Tra le misure che alcuni membri del Consiglio di Sicurezza stanno esaminando vi e’ il ricorso alla forza armata. Il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite fornisce il quadro di riferimento per le misure che il Consiglio di Sicurezza e’ chiamato a intraprendere per dare effetto alle sue decisioni: esse comprendono il ricorso alla forza armata, definito come ultima risorsa dopo che tutte le misure per risolvere una situazione attraverso mezzi pacifici sono state prese in considerazione e ritenute inadeguate.
Il ricorso alla forza militare e’ destinato con ogni probabilita’ a produrre ulteriori devastanti conseguenze su ampie parti della popolazione irachena, gia’ colpita dalle gravi violazioni dei diritti umani commesse dal proprio governo e dall’effetto delle sanzioni economiche.
Sollecito il Consiglio di Sicurezza a considerare attentamente tali conseguenze nelle sue deliberazioni su un eventuale ricorso alla forza, onde assicurare che verra’ compiuto ogni sforzo per risolvere la situazione attraverso mezzi pacifici.
Voglio aggiungere che, nell’esperienza di Amnesty International, il ricorso alla forza militare e’ invariabilmente accompagnato da violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario. La Carta delle Nazioni Unite attribuisce un posto centrale alla promozione e al rispetto dei diritti umani e delle liberta’ fondamentali, considerati obiettivi dell’Organizzazione. Non deve essere mai dimenticato che le Nazioni Unite sono state create per mantenere la pace e promuovere i diritti umani.
Sinceramente,
Irene Khan
Segretaria Generale
di Amnesty International

venerdì, settembre 27, 2002

MONUMENTI CITTADINI:
LA CHIESA DI S. AGOSTINO


Un ricco volume della Fondazione Cassa di Risparmio
di Modena ripercorre la storia
del sacro edificio e ne svela tesori e segreti



Sabato 28 settembre alle ore 18 nella chiesa di Sant’Agostino a Modena la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena presenterà il volume La chiesa di Sant’Agostino a Modena. Pantheon Atestinum, curato da Elena Corradini, Elio Garzillo, Graziella Polidori e pubblicato da Amilcare Pizzi.

Indirizzi di saluto di: S.E. Bartolomeo Santo Quadri Arcivescovo Emerito di Modena Nonantola; dott. Gianfranco Baldini, Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Modena; Don Giuseppe Albicini, Parroco di Sant’Agostino

Interverranno: arch. Elio Garzillo, soprintendente Regionale per i Beni e le Attività Culturali; prof. Eugenio Riccomini dell’Università Statale di Milano; prof. Claudia Conforti dell’Università di Roma Tor Vergata; dott. Elena Corradini direttore Archeologo della Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali.

Il volume dedicato alla chiesa di Sant’Agostino continua la collana “Monumenti Modenesi” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, curata e diretta da Elio Garzillo, Claudia Conforti, Elena Corradini, Graziella Polidori
Gli altri tre volumi della collana già pubblicati sono: Il Duomo di Modena. Domus clari Geminiani; Il Palazzo Ducale. Regia mole maior animus; La Chiesa di San Vincenzo. Ecclesia Divi Vincentii.
Complesse sono state le ricerche e molteplici gli approfondimenti che gli autori dei 23 saggi hanno condotto sulla chiesa annessa al convento dei padri Eremitani di Sant’Agostino, tra i quali si segnalano, oltre a quelli dei direttori della collana, i testi dedicati dal prof. Mauro Lucco dell’Università di Bologna all’affresco raffigurante la Madonna con il Bambino di Tomaso da Modena e dal prof. Giorgio Bonsanti dell’Università di Torino al Compianto di Antonio Begarelli. Ai testi degli altri autori, tra i quali figurano il dott. Ernesto Milano, direttore della Biblioteca Estense e Universitaria e il dott. Angelo Spaggiari direttore dell’Archivio di Stato, Alberto Manodori, Tiziana Contri, Sonia Cavicchioli, Bianca Belardinelli, Marco Dugoni, Claudia Cremonini, Giovanna Caselgrandi, Carlo Giovannini, Marta Lucchi, Daniela Sinigalliesi, Lorenzo Lorenzini, Anna Rosa Venturi Barbolini, Franca Stagi, Giovanni Cerfogli, si affianca un articolato regesto dei documenti d’archivio curato da Pier Luigi Cavani e Lucia d’Angelo.
Il ricco corredo di illustrazioni dei saggi è completato, come è caratteristica degli altri della collana, da sette inserti fotografici di immagini appositamente realizzate, la cui sequenza consente di visitare i settori nei quali si articola l’apparato decorativo della chiesa: dall’esterno si procede all’interno con le immagini della prima metà dell’Ottocento per poi ammirare l’apparato scultoreo in stucco che si dispiega lungo tutte le pareti della chiesa, nelle nicchie in basso e in alto al di sopra del cornicione, a cui fanno da contrappunto gli altari e che si conclude negli eleganti e complessi dipinti del soffitto ligneo a cassettoni lungo tutta la navata e negli affreschi dello pseudotransetto e dell’abside.
Questo volume ha reso possibile una nuova lettura unitaria delle vicende dell’edificio di culto, “luogo emblematico della città”, come scrive il soprintendente Elio Garzillo, con specifiche e dettagliate analisi dei suoi apparati decorativi, che costituiscono la parte stabile dell’allestimento scenografico voluto e finanziato, tra il 1662 e il 1663, dalla duchessa Laura Martinozzi, con i denari dell’eredità dello zio cardinale Mazzarino, per celebrare le solenni esequie del marito Alfonso IV, morto in giovane età nel 1662.
La duchessa Laura si avvalse della consulenza del gesuita Domenico Gamberti, che descrisse, come aveva fatto per Francesco I, in una monumentale orazione funebre per il Duca, pubblicata anch’essa a Modena e conservata insieme con l’altra presso la Biblioteca Estense Universitaria, il progetto della “pompa stabile e funerale”, che fu affidato all’architetto bolognese Giovanni Giacomo Monti (1614-1678) e al capomastro Beltrami di Reggio Emilia che ne curò la realizzazione.
Come se si trattasse della scenografia di un teatro resa stabile dall’ancoraggio alle pareti della preesistente chiesa degli Agostiniani, l’allestimento scenografico fu realizzato sul soffitto per la maggior parte in legno dipinto con supporto di canne, e lungo le pareti in stucco. Attraverso quell’apparato decorativo realizzato in maniera stabile e non effimera, come era avvenuto per le esequie del duca Francesco I celebrate l’anno precedente nella stessa chiesa, illustrate dalla prof. Claudia Conforti, la duchessa Laura ha lasciato una testimonianza ancora oggi visibile della celebrazione della Casa d’Este attraverso la memoria delle virtù religiose prima ancora che civili, politiche e militari dei personaggi maschili, papi, imperatori, re, santi o beati, ma soprattutto femminili, imperatrici, regine, sante o beate, con le quali gli Estensi, grazie agli elaborati studi condotti da Gamberti, potevano vantare vincoli di parentela, come sottolinea nel suo saggio il prof. Paolo Golinelli dell’Università di Verona.
Le figure femminili di sante e beate legate alla Casa d’Este dominano in maniera preponderante dalle grandi otto nicchie delle pareti della chiesa, e in quattro delle sette dello pseudotransetto e dell’abside, ma sono anche ben visibili negli sfondati dipinti sul soffitto da Francesco Stringa (1635-1709), Olivier Dauphin (1674 ca. 1673), Sigismondo Caula (1637-1724), Giovanni Peruzzini (1629-1694) e negli affreschi di Giovanni Giacomo Monti e Baldassarre Bianchi (1614-1678) del presbiterio e dell’abside. Il programma iconografico voluto dalla duchessa Laura voleva suggerire, in modo davvero singolare per quei tempi, e non solo per quelli, che le donne potevano assumere un ruolo determinante che dalla sfera religiosa poteva passare in quella civile e politica.
Messaggio importante questo, come sottolinea nel suo saggio Elena Corradini, se si pensa che la chiesa di Sant’Agostino, ovvero Pantheon Atestinum, è il primo monumento con il quale la casa d’Este attesta la propria presenza nella città di Modena, dove erano ancora in piena attività altri due importanti cantieri avviati per volontà di Francesco I, il loro palazzo cittadino e la chiesa di San Vincenzo dei Padri Teatini, il luogo devozionale per eccellenza scelto dalla duchessa Isabella di Savoia, moglie di Alfonso III e madre di Francesco I, come sepoltuario estense, come si legge nel suo testamento del 1626.
Nella realizzazione degli apparati decorativi delle tre fabbriche modenesi, il Pantheon Atestinum, la chiesa di San Vincenzo e il palazzo ducale, troviamo impegnate le stesse persone, dall’architetto Tommaso Loraghi ai pittori Francesco Stringa e Olivier Dauphin, allo scultore Giovanni Lazzoni (1616-1626), a Lattanzio Maschio (1642 ante-1694 post) e ad altri plasticatori più o meno legati alla sua bottega come Luca Colomba (1585-1650), indubitabile prova di quanto la corte apprezzasse le loro opere, ma credo anche significativa testimonianza di quella che si potrebbe definire una illuminata capacità imprenditoriale capace di far progettare edifici differenti con specifiche finalità la cui realizzazione veniva però affidata a maestranze di comprovata capacità artistica.

mercoledì, settembre 18, 2002

USA/IRAQ: NON C'ENTRANO I DIRITTI UMANI

LO SOSTIENE AMNESTY INTERNATIONAL

Nel discorso tenuto presso l’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, il Presidente George Bush ha citato le gravi violazioni
dei diritti umani perpetrate dal governo iracheno nei confronti della
popolazione. Il documento informativo distribuito alla stampa
contiene vari riferimenti ai rapporti sulla situazione dei diritti umani in
Iraq pubblicati negli anni da Amnesty International.

“Ancora una volta, la situazione dei diritti umani di un paese e’ usata
selettivamente per legittimare azioni militari”,
ha dichiarato Amnesty
International.
“Gli Stati Uniti e altri governi occidentali non hanno preso in
considerazione i rapporti di Amnesty International sulle diffuse violazioni dei
diritti umani in Iraq durante la guerra Iran-Iraq e hanno ignorato la campagna di
Amnesty International per le migliaia di civili curdi uccisi negli attacchi a Halabja nel 1988”.
“I diritti umani della popolazione irachena, come diretta conseguenza di
ogni potenziale azione militare, non sono al centro del crescente dibattito
sull’eventualita’ di usare la forza militare contro l’Iraq”.
“La vita, la sicurezza e l’incolumita’ della popolazione civile devono
rappresentare il primo obiettivo in ogni azione intrapresa per risolvere l’attuale crisi umanitaria e dei diritti umani. L’esperienza del precedente intervento militare nel Golfo ha mostrato come i civili divengano, troppo spesso, le vittime accettabili di un conflitto”.
“Nell’eventualita’ di un’azione militare, c’e’ la seria possibilita’ di causare migliaia di rifugiati e sfollati. Una crisi umanitaria puo’ scaturire dalla difficolta’ o impossibilita’ di trasportare i generi di sussistenza minimi causando carenza di cibo, di medicinali e distruzione di infrastrutture civili e istituzioni”.


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AMNESTY INTERNATIONAL
AL GOVERNO ERITREO:
LIBERATE OPPOSITORI E GIORNALISTI


In un rapporto diffuso oggi (mercoledi’ 18 settembre 2002),
intitolato Eritrea: detenzione arbitraria di oppositori e giornalisti,
Amnesty International ha rivolto un appello alle autorita’ di Asmara
affinché pongano fine, immediatamente e senza condizioni, alla
detenzione illegale di decine di prigionieri di coscienza e difensori
dei diritti umani.


“Con queste detenzioni l’Eritrea viola i trattati regionali e
internazionali in materia di diritti umani che il Governo ha ratificato
solo di recente. Esse inoltre rafforzano il clima di impunita’
sull’operato delle autorita’”, ha dichiarato Amnesty International.


Giornalisti della stampa indipendente e varie personalita’
che hanno espresso critiche nei confronti del governo si trovano in
stato di detenzione segreta, senza poter comunicare con la famiglia
e con gli avvocati ormai da un anno, da quando cioe’ - nel
settembre 2001 - le autorita’ hanno iniziato improvvisamente a
reprimere il crescente dissenso. Fra i detenuti, figurano l’ex
Vicepresidente Mahmoud Ahmed Sceriffo, l’ex ministro degli Esteri
Haile Woldetensae, Aster Fissehatsion - un importante leader del
Fronte popolare di liberazione eritreo - nonché altre personalita’
che svolsero un ruolo di primo piano nel raggiungimento
dell’indipendenza nel 1991.


Nel maggio 2001 un gruppo dissidente di 15 esponenti del
partito al governo (il cosiddetto “Gruppo dei 15”) aveva criticato
pubblicamente il Presidente Issayas Afewerki ed aveva invocato “il
primato della legge e della giustizia, attraverso metodi pacifici e
legali”. Quattro mesi dopo, il 18 settembre, le forze di sicurezza
avevano arrestato 11 dei 15 oppositori: altri tre erano sfuggiti
all’arresto perché all’estero e un quarto aveva nel frattempo ritirato
il proprio supporto al gruppo.


Per il governo, gli 11 sono colpevoli di “reati contro la
sovranita’, la sicurezza e la pace della nazione” e si sono resi
responsabili di tradimento durante la guerra del 1998-2000 con
l’Etiopia. A giudizio di Amnesty International, invece, si tratta di
prigionieri di coscienza arrestati unicamente per la loro opposizione
pacifica al governo.


Sempre il 18 settembre 2001, il governo aveva fatto
chiudere i quotidiani di proprieta’ privata e nei giorni seguenti
aveva ordinato l’arresto di 10 noti giornalisti, autori di una protesta
nei confronti del ministro dell’Informazione sulla vicenda degli 11
oppositori e sulla chiusura dei quotidiani.


Nel marzo di quest’anno, i 10 giornalisti hanno iniziato uno
sciopero della fame; in seguito sono stati trasferiti dalla I stazione
di polizia e da allora non sono stati piu’ visti. Amnesty International
li considera prigionieri di coscienza: “Come difensori dei diritti
umani, hanno accettato il rischio di subire la repressione del
governo pubblicando articoli sui diritti umani e la democrazia e
rivendicando il diritto alla liberta’ di espressione e di stampa”, ha
dichiarato l’organizzazione.


Nei mesi successivi a questi arresti e durante il 2002,
Amnesty International ha ricevuto informazioni su decine di altre
detenzioni, che si ritiene siano ancora in corso, ai danni di
funzionari statali, giornalisti, ex combattenti della liberazione e
notabili che hanno tentato di mediare tra il governo e i suoi
oppositori. In centinaia hanno lasciato il paese, compresi molti
giovani che hanno rifiutato di svolgere il servizio militare.


Nessuno di questi detenuti e’ stato portato dinanzi a un
giudice o incriminato formalmente. Le autorita’ negano loro ogni
accesso al mondo esterno e non permettono ad Amnesty
International di visitare il paese e sottoporre al governo le proprie
preoccupazioni e richieste.

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Commento di Marco Bertotto,
Presidente della Sezione Italiana di Amnesty
International,
in occasione dell’anniversario dell’11 settembre 2001



IL SACRIFICIO DEI DIRITTI UMANI
SULL’ALTARE DELLA SICUREZZA



In Bielorussia, una normativa approvata lo
scorso dicembre autorizza la perquisizione di edifici
senza l’approvazione dell’autorita’ giudiziaria. Il
sistema repressivo dell’Egitto ­ caratterizzato da
tortura e processi iniqui ­ e’ stato suggerito dallo
stesso governo del Cairo come modello efficace di
lotta al terrorismo per i paesi occidentali. In Pakistan,
gli emendamenti alla legge sulla sicurezza nazionale
mettono a rischio l’indipendenza della magistratura e
stabiliscono la partecipazione di personale militare alle
giurie chiamate ad occuparsi di processi per
“terrorismo”. L’atto sull’antiterrorismo introdotto lo
scorso anno nel Regno Unito consente la detenzione a
tempo indeterminato, senza accusa ne’ processo, di
cittadini stranieri sospettati di collusione con il
terrorismo internazionale. L’ordinanza sulla sicurezza
e l’ordine pubblico nello Zimbabwe, entrata in vigore a
gennaio, vieta le manifestazioni e criminalizza
chiunque esprima critiche nei confronti della polizia,
delle forze armate o del presidente Mugabe.
Sono, questi, solo alcuni degli episodi piu’
significativi per raccontare, senza troppi giri di parole,
in quale mondo viviamo ad un anno di distanza
dall’immane tragedia dell’11 settembre 2001.
Promulgando nuove leggi e facendo ricorso alla
vecchia brutalita’, in tante circostanze i governi - a
partire da quello degli USA, dove ora un sistema di
“giustizia di seconda classe” si fonda su detenzioni
arbitrarie e tribunali militari - hanno finito per
sacrificare i diritti umani sull’altare della sicurezza e
dell’antiterrorismo. L’obiettivo della “sicurezza a tutti i
costi” si e’ trasformato in un pretesto, quasi una
forma di legittimazione preventiva per colpire gli
oppositori e le minoranze e giustificare nuove forme
di repressione e di riduzione delle liberta’
fondamentali.
A ben pensarci, non c’e’ nulla di cosi’ nuovo nel
comportamento di governi che, esposti a situazioni di
particolare rischio ed emergenza, fanno ricorso a
misure straordinarie e si appellano alla dottrina della
sicurezza nazionale per limitare, sia pure in maniera
provvisoria, l’esercizio di taluni diritti fondamentali. La
vera novita’ che abbiamo di fronte sta nella diffusione
di un paradigma inedito, che considera apertamente i
diritti umani come un ostacolo alla sicurezza e ritiene
di poter sconfiggere il “terrorismo” con i soli strumenti
della repressione: intervenendo quindi esclusivamente
sui sintomi del fenomeno e non affrontando la radice
vera dei problemi di ingiustizia e privazione che, su
scala planetaria, rappresentano un terreno fertile per i
disordini e la violenza.
Inutile dire che questo approccio si e’ rivelato
fallimentare da ogni punto di vista. Innanzitutto
perche’ a promuoverlo sono soprattutto governi che
hanno “approfittato” del clima internazionale per
risolvere alcune spinose questioni interne: la Cina che
ha accentuato la persecuzione dei gruppi separatisti in
Tibet, Mongolia interna e Xinjiang e la Russia che ha
ottenuto un lasciapassare per intensificare la
campagna militare e repressiva in Cecenia.
Il pretesto della sicurezza internazionale ha
fornito la piu’ efficace delle coperture ai paesi che si
sono raccolti intorno all’alleanza globale contro il
terrorismo guidata dagli USA e ha prodotto
nell’opinione pubblica appariscenti fenomeni di
“indignazione a singhiozzo”: il mondo intero si e’
scandalizzato per l’imposizione del burqa, cui sono
state costrette per lunghi anni le donne afgane (in
verita’, non solo durante il regime dei talebani, e su
questo quanti rapporti di Amnesty International sono
passati inosservati!), eppure nessuno solleva il
problema dei diritti delle donne in un paese come
l’Arabia Saudita o a rischio di lapidazione in diversi
altri paesi; l’Iraq di Saddam Hussein e’ indicato oggi
come il piu’ sanguinario dei regimi tanto che e’ in
corso un intenso dibattito per valutare l’opportunita’
di un’operazione militare, ma gli abusi e la pressoche’
completa assenza di liberta’ e diritti politici in paesi
alleati (e mercati) come la Cina non sembrano
oggetto di preoccupazioni cosi’ diffuse.
Il paradigma della sicurezza che prevale a
livello internazionale non solleva dubbi solo dal punto
di vista morale e giuridico, ma anche da quello della
sua concreta efficacia. Siamo davvero convinti che un
mondo in cui a miliardi di persone sono negati i
fondamentali diritti umani, primo tra tutti quello alla
stessa sopravvivenza, possa essere reso piu’ sicuro
con leggi repressive, l’uso della tortura e
l’imprigionamento di qualche migliaio di stranieri
sospetti?
L’anno iniziato l’11 settembre 2001 si e’ aperto
con gli attacchi negli Stati Uniti e si e’ chiuso con il
recente attentato in Afghanistan contro il presidente
Karzai, l’alba e il tramonto di una giornata del mondo
attraversata ogni ora da piu’ violenza e piu’ terrore:
non basta questo a dimostrare che le misure
repressive e liberticide adottate fino ad oggi dai
governi non sono affatto servite a garantire maggiore
sicurezza per tutti?
Cio’ di cui abbiamo davvero bisogno,
soprattutto da un anno a questa parte, non e’ tanto
una guerra contro il terrorismo ma una mobilitazione
globale a favore dei diritti umani. L’11 settembre
2002 e’ una data simbolica che puo’ aiutare a
ricordarcelo!


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mercoledì, settembre 11, 2002

NEW YORK
UN ANNO DOPO


È trascorso un anno dal terribile attacco terroristico negli Stati Uniti contro le torri gemelle del World Trade Center a New York e contro il Pentagono a Washington. La rete terroristica Al Qaeda guidata da Osama bin Laden, dopo aver combattuto e sconfitto i russi invasori dell’Afghanistan foraggiata dagli americani e dai sauditi, si era impadronita del potere in quel paese tramite i mullah talebani cresciuti dai servizi segreti pakistani. Dopo aver sconfitto il Satana comunista, si rivoltava contro il Satana occidentale, materialista e miscredente. Dopo attentati e massacri contro militari e diplomatici americani in Libano, Arabia ed Africa, era giunto il momento di colpire al cuore gli Stati Uniti (il World Trade Center aveva già subito nel 1993 un attentato, una bomba era stata fatta esplodere nei sotterranei): commandos suicidi avrebbero dirottato aerei di linea civili negli Usa e si sarebbero schiantati contro i simboli dell’unica superpotenza sopravissuta alla guerra fredda ed al collasso dell’Unione Sovietica. L’11 settembre 2001, tra le ore 8,30 e le 10,30 di mattina, la tragedia si compiva, cogliendo tutti impreparati, nonostante convergenti avvisaglie, e causando circa 3.000 vittime. La reazione compatta dell’Occidente ha restituito la libertà all’Afghanistan con la cacciata dei talebani, mentre di Osama non si sa più nulla: forse è stato ucciso dai bombardamenti angloamericani, forse è ancora in vita e ritesse la tela nella zona di nessuno pakistana. Ma la guerra al terrorismo non si ferma, e l’amministrazione americana è pronta a saldare i conti anche con l’Iraq di Saddam Hussein (che niente per ora lega agli attentati dell’11 settembre).

lunedì, settembre 09, 2002

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FESTIVAL FILOSOFIA,
CENTO APPUNTAMENTI
SULLA BELLEZZA


Dal 20 al 22 settembre Modena, Carpi e Sassuolo propongono lezioni, mostre, spettacoli, letture e giochi. Tra gli ospiti, Cacciari, Galimberti, Hillman, Savater, Vattimo, Dorfles, Bauman, Forte e Givone. Cene filosofiche ideate da Tullio Gregory


Lezioni di grandi maestri del pensiero contemporaneo – da Massimo Cacciari a Umberto Galimberti, da James Hillman a Fernando Savater, da Gianni Vattimo a Gillo Dorfles - ma anche “cene filosofiche” ideate dall’Accademico dei Lincei Tullio Gregory. Mostre di Nobuyoshi Araki, Uliano Lucas e Milo Manara, ma anche concerti, letture di haiku, esibizioni di calligrafia giapponese, performance poetiche, spettacoli per ragazzi, bancarelle di libri e una caccia al tesoro on line.
Sono solo alcuni dei cento appuntamenti – quasi tutti gratuiti - del secondo Festival filosofia, dedicato quest’anno alla bellezza e in programma a Modena, Carpi e Sassuolo dal 20 al 22 settembre per iniziativa della Regione Emilia-Romagna, della Provincia, dei tre Comuni, della Fondazione Collegio San Carlo (che ha curato il programma) e della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena (informazioni per il pubblico al numero 059 421210 e al sito www.festivalfilosofia.it).
Come nella prima edizione – che lo scorso anno, sul tema della felicità, ha registrato 25 mila presenze - il cuore del Festival sarà costituito da lezioni magistrali di grandi pensatori italiani e stranieri, conversazioni tra filosofi e artisti, testimonianze, letture, dibattiti tra filosofi, politici, imprenditori e pubblicitari. Un vasto programma di "contorno" coinvolgerà la letteratura e il cinema, il teatro e la musica.
La scelta di fondo - spiegano gli organizzatori - è di non considerare il tema come esclusivo appannaggio delle “belle arti”, ma di riflettere sul ruolo della bellezza nell’esperienza contemporanea, nella definizione dell’identità, nella costruzione dei rapporti sociali e nell'immaginario comune.
In particolare, a Modena si parlerà del rapporto tra la bellezza e la soggettività, l’identità, la giustizia con Remo Bodei, Massimo Cacciari, Gillo Dorfles, James Hillman e Fernando Savater. A Carpi il Festival approfondirà la relazione tra bellezza e grazia, etica ed estetica, meraviglia e immaginazione, natura e artificio con Marc Augé, Enzo Bianchi, Bruno Forte, Sergio Givone, Francisco Jarauta e Mario Perniola. A Sassuolo, infine, si rifletterà sul rapporto tra bellezza e differenza e si parlerà di l’estetica dei corpi e di estetica della globalizzazione con Zygmunt Bauman, Umberto Galimberti, Giangiorgio Pasqualotto e Gianni Vattimo.

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DONNE,
MATITE
E POLAROID


In occasione del Festival, mostre di Nobuyoshi Araki, Milo Manara e Uliano Lucas


Racconta il Giappone e le sue contraddizioni con un linguaggio diretto e privo di retorica. E con le sue immagini provocanti e cariche di erotismo interpreta in modo originale e inconfondibile il tema della bellezza. E’ Nobuyoshi Araki, 62 anni, una laurea in Ingegneria e un master in Fotografia, 200 esposizioni personali in musei e gallerie di tutto il mondo. Al suo lavoro è dedicata la mostra “Tutte le donne del mondo. The world of Nobuyoshi Araki”, realizzata dalla Galleria civica di Modena nell’ambito del Festival filosofia sulla bellezza e aperta alla Palazzina dei Giardini dal 20 settembre al 6 gennaio. Le immagini sono circa 2300, di cui duemila polaroid che compongono un puzzle di figure e ambienti - quasi una cronaca quotidiana della vita nella metropoli di Tokyo – serie inedite come gli aggiornamenti relativi a “Tokyo Diary”, la serie completa delle “Yugawara stories” e 35 ritratti scelti tra quelli realizzati dal maestro giapponese negli ultimi anni.
L’esposizione dedicata ad Araki e una delle dieci mostre organizzate in occasione del Festival filosofia sulla bellezza. A Modena si potranno ammirare i libri d’artista di Giulio Paolini alla biblioteca Poletti (Palazzo dei Musei) e tre installazioni nella chiesa di san Paolo, album e figurine di star del cinema dal muto agli anni Cinquanta al Caffè concerto (a cura del Museo della figurina), prototipi di oggetti filosofici dell’Università del Progetto al Cortile del Melograno. A Carpi, nel Castello dei Pio, sarà allestita “Beat! Uno stile di vita in mostra”, realizzata dal Comune e da Filmfestival internazionale montagna città di Trento, e nel chiostro di San Rocco saranno in mostra i ritratti dei filosofi che hanno partecipato al Festival dello scorso anno. A Sassuolo il Comune propone un reportage fotografico di Uliano Lucas sulle donne del territorio, una mostra di tavole originali di Milo Manara e una mostra di oggetti del designer Dino Gavina.



MODENA
1° SEMESTRE 2002:
RALLENTA L’OCCUPAZIONE


Meno assunzioni, ma anche meno licenziamenti; più contratti a termine, meno a tempo indeterminato; più forestieri e meno modenesi; più terziario, meno industria.
È questo, in sintesi, l’andamento occupazionale nel primo semestre del 2002 analizzato dalla CISL di Modena sulla base dei dati forniti dai Centri per l’impiego della Provincia. Tra gennaio e giugno di quest’anno gli avviamenti al lavoro sono stati 42.265, a fronte di 30.259 cessazioni. Sono numeri inferiori a quelli degli ultimi due anni, ma il saldo, positivo per 12.006 unità, è il più alto dal 1996 a oggi.
«Il minor numero di assunzioni rispetto al 2000 e al 2001 conferma che siamo in presenza di un rallentamento dell’economia provinciale, anche se è prematuro parlare di crisi – commenta Maurizio Brighenti, componente della segreteria provinciale della CISL – In questo contesto il dato più rilevante è il crollo dei contratti a tempo indeterminato, scesi a meno di un terzo del totale degli avviamenti. Viceversa continuano a crescere le assunzioni a tempo determinato, che nel primo semestre 2002 hanno sfondato il tetto del 50 per cento. Questo conferma che il lavoro è sempre più precario e che occorre perciò contrattare nuove forme di tutela seguendo la strada indicata dal Patto per l’Italia firmato il 5 luglio scorso. A questo proposito andrebbe ulteriormente favorito il ricorso al part time, che rimane sostanzialmente stabile intorno al 10 per cento del totale degli avviamenti, mentre la richiesta è molto più alta, soprattutto da parte delle donne».
Per quanto riguarda la provenienza degli avviati, si conferma la tendenza che vede in crescita i “forestieri” rispetto ai modenesi: quest’ultimi sono calati al 63 per cento del totale, mentre i lavoratori provenienti da altre regioni italiane sono il 14 per cento e quelli giunti da Paesi Ue ed extraeuropei rappresentano addirittura il 17 per cento.
Da segnalare, infine, il definitivo sorpasso del terziario sull’industria. Tra gennaio e giugno il primo ha avviato 6.863 lavoratori (pari al 57 per cento del totale), a fronte dei 2.889 posti creati dall’industria (24 per cento). In diminuzione rispetto allo stesso periodo del 2001 anche l’agricoltura (2.167 avviamenti), e soprattutto la pubblica amministrazione (appena 87 avviati, contro i 254 dell’anno scorso).











domenica, settembre 01, 2002

RAI
Sciatteria, canone e censure


La nuova gestione della RAI potrebbe qualificarsi rispetto alle passate gestioni per lo scrupoloso rispetto degli orari programmati e per la cura delle trasmissioni. Ora comunque ha iniziato male. Sabato sera 31 agosto il film “C’eravamo tanto amati” di Scola è iniziato con oltre un’ora di ritardo, la domenica precedente il film “West Side Story” (vincitore nel 1961 di ben 10 premi Oscar) è stato massacrato. Mancava l’ouverture musicale di circa tre minuti, sullo sfondo a colori cangianti del profilo stilizzato di New York; i sottotitoli, approssimativi, delle sequenze cantate in inglese, erano quasi illeggibili perché tenui e sfumati, e coperti dal simbolo di Raidue (che avrebbe potuto essere spostato in alto a destra, lasciando in basso libero lo spazio per le scritte), e comparivano sullo schermo per pochi secondi per sparire subito, senza l’urgenza dell’apparizione di quelli successivi, che invece si facevano aspettare; i colori cambiavano da rullo a rullo, passando dal giallo al rosso, all’azzurro nella stessa sequenza, indice dello stato calamitoso della pellicola scelta per la trasmissione; incredibilmente nella parte finale è stata cassata la dolente canzone “Somewhere” che Tony e Maria intonano nella cameretta di lei dopo il duello mortale; e alla fine sono spariti i meravigliosi titoli di coda per i quali Saul Bass ha vinto un Oscar, sostituiti, senza soluzione di continuità, dai titoli di testa del filmetto che seguiva nella programmazione. Poiché all’inizio non c’erano titoli, chi non ha sottomano un dizionario dei films non saprà mai chi sono gli attori che recitano e cantano, chi sia il regista, chi abbia scritto musiche e parole ed inventato le coreografie, ecc...Tanta sciatteria non merita il pagamento del canone, giusto?
Vedo tra l’altro che sabato prossimo per le ore 22,30 è programmato “Salvate il soldato Ryan” di Spielberg, preceduto da una presentazione di Bruno Vespa (quali sono le sue competenze cinematografiche?): se gli orari saranno rispettati il film terminerà verso le ore 1,30. Quanti saranno i telespettatori che lo vedranno? La Rai ha forse comperato salatamente i diritti di un famoso film di successo per trasmetterlo di nascosto in un orario impossibile? E non giustifichiamo per favore tale scelta con la presenza delle scene “violente” dell’inizio, altrimenti eguagliamo in ipocrisia quei regimi arabi che vietarono la proiezione di quell’altro film di Spielberg “Schindler’s List” perché in esso c’erano delle scene di nudo durante i massacri nei campi di concentramento nazisti! O è forse un invito subliminale perché i telespettatori corrano ad acquistare la cassetta o il dvd (perché il film sarà senz’altro pieno di pubblicità e perciò irregistrabile)? Bel servizio pubblico, la Rai del prof. Baldassarre e del dr. Saccà! Bel servizio reso alla cultura (sia pure cinematografica)! Il prof. Baldassarre e il dr. Saccà avranno il tempo di pensarci e sapranno porvi rimedio, una volta sistemato Santoro per le feste?
(A proposito, “Sciuscià” era ed è un format ottimo di giornalismo coraggioso ed aggressivo che ha fatto onore alla Rai negli anni passati, degno dei migliori talk show politici Usa, e che giustificava in pieno il pagamento del canone. La sua scomparsa dal palinsesto Rai rappresenterà un’umiliazione ed un impoverimento per l’azienda e uno schiaffo in faccia ai telespettatori che per vederlo pagavano. Ci priveranno della libertà di scelta. Baldassarre e Saccà, che sono nostri impiegati e che debbono rispondere di come gestiscono la Rai a noi telespettatori che paghiamo il canone, non se lo dimentichino! Altrimenti li licenziamo).


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