mercoledì, novembre 26, 2003

UNIONE EUROPEA CONTRO IL DIRITTO DI ASILO?

AMNESTY INTERNATIONAL SOSTIENE LE CRITICHE DELL'ACNUR

Amnesty International appoggia le critiche dell'Alto Commissario
delle Nazioni Unite per i Rifugiati Ruud Lubbers secondo il quale le
proposte di direttive europee in materia di asilo che l'Unione Europea
discutera' al Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari
interni dell'Ue questa settimana rischiano di erodere gli standard
internazionali.
"La legislazione proposta, mirata ad armonizzare le procedure in materia
di asilo all'interno dell'Unione Europea, che formeranno il nucleo del
Sistema Comune Europeo di diritto d'asilo, e' gravemente viziata dal punto
di vista dei diritti umani. Se la Presidenza italiana dell'Unione Europea
non riuscira' a far si' che la protezione dei rifugiati ridivenga
l'obiettivo centrale della direttiva in discussione, sarebbe meglio per la
legislazione comunitaria non adottare questa legislazione" ha dichiarato
Dick Oosting, direttore dell'ufficio di Bruxelles di Amnesty
International.
"I governi nazionali sembrano competere fra loro per vedere quanto possono
minare gli standard sulla protezione dei rifugiati in Europa in risposta
alle pressioni populiste. Di conseguenza, il Sistema di asilo comune
dell'Unione Europea e' tenuto in ostaggio. La legislazione proposta non
permetterebbe all'Ue di tener fede ai propri impegni secondo quanto
stabilito dalla Carta dei diritti fondamentali, presto parte della nuova
Costituzione europea, ne' permetterebbe ai singoli governi europei di
tener fede alle proprie responsabilita' nei confronti del diritto
internazionale".
Secondo Amnesty International, concordando con queste proposte, gli stati
membri dell'Unione Europea mostrerebbero chiaramente che e' accettabile
ignorare gli standard internazionali e trasferire l'onere della protezione
dei rifugiati ad altri paesi.
"Vi sono cosi' tante eccezioni e deroghe fra le proposte attuali sui c.d.
"Paesi Terzi Sicuri", sulle procedure di gestione del diritto d'asilo ai
confini e sul diritto a restare nel paese durante il ricorso, che alla
fine non vi e' un'armonizzazione, ma un lasciapassare per tutti i governi
a minare ulteriormente gli standard sulla protezione dei rifugiati. Che
tipo di messaggio e' questo che l'Unione Europea invia al resto del
mondo?" ha chiesto Dick Oosting.

martedì, novembre 11, 2003

MARIO PECORARO, UNA VOCE FUORI DAL CORO

QUELLA CHE SEGUE È L'INTRODUZIONE CHE HO SCRITTO PER IL NUOVO LIBRO DI MARIO PECORARO UNA VOCE FUORI DAL CORO. CRONACHE CARPIGIANE ... E NON SOLO NUOVAGRAFICA, CARPI 2003, PP120, € 7.00

Un filo rosso collega gli scritti raccolti in questo volumetto da Mario Pecoraro: quello dell’impegno dell’intellettuale libero per una cultura autonoma dalla politica (e dai carrozzoni gestiti in nome e per conto del potere politico), quindi per una cultura partecipata ed autogestita dai protagonisti. Risale al maggio 1980 il primo articolo riproposto in queste pagine, dal titolo profetico “I cittadini protagonisti della politica culturale”. Fu pubblicato sul periodico Luce dei socialisti carpigiani, e prendeva di mira la politica culturale sviluppata a Carpi dal Comune «talvolta anche lodevolmente (per esempio, l’attività teatrale) ma in modo accentratore, promuovendo, coordinando e gestendo la cultura: è stato insomma l’inizio e la fine di ogni iniziativa culturale». Precisando: «Credendo fermamente nel pluralismo, nella partecipazione, nel decentramento, noi socialisti non possiamo non esprimere un rifiuto netto per l’Ente locale quale macchina “dispensatrice” di cultura. A questa presenza totalizzante noi intendiamo contrapporre una articolazione diffusa di centri e momenti culturali sì da rendere possibili esperienze significative di autogestione, partecipazione e corresponsabilità culturale. Per noi la cultura non è un fatto di pianificazione istituzionale, ma una linfa che deve circolare in diversi organismi».
Naturalmente all’epoca l’articolo fu oggetto di scandalo, scherno e disapprovazione da parte del ceto intellettuale che allora (e tuttora) si pasce di pubbliche elargizioni o è dipendente stabile dei minculpop locali. (Per gli smemorati Minculpop è l’abbreviazione di Ministero della Cultura Popolare, istituito dal regime fascista per controllare e dirigere la gente, indottrinandola. Tipica istituzione totalitaria, figlia e concorrente dell’esperienza politica del comunismo sovietico - ispiratore peraltro di molte “intuizioni” mussoliniane - che ancor oggi anacronisticamente sopravvive seppure spezzettata territorialmente negli assessorati di Regioni, Province e Comuni). All’epoca Mario Pecoraro simpatizzava per i socialisti, quando il nuovo corso indipendentista intrapreso dal segretario nazionale di quel partito, Bettino Craxi, puntava parecchio sul rinnovamento culturale della società e della nazione italiana.
Mario Pecoraro è rimasto fedele all’idea di cultura autonoma ed autogestita perorata allora dai liberalsocialisti, anche se rimasto senza partito e rifuggendo ormai l’impegno politico diretto. L’ultimo scritto che appare in questo volume, sulla mostra “infelice” ed “antisemita” ospitata dal Museo al Deportato politico e razziale di Carpi, dell’aprile 2003, a un quarto di secolo di distanza, ne è la testimonianza. E in mezzo ci sono tanti esempi, dallo “scippo” municipale delle celebrazioni per l’anniversario della morte di Alfredo Bertesi allo scandalo del “Falco magico”, al rifiuto pubblico di collezioni private offerte gratuitamente alla municipalità.
Una concezione della cultura autonoma e libera che appare nell’Italia odierna piuttosto orfana e minoritaria. Prosperano infatti a livello locale gli assessorati che pretendono di produrre in proprio “cultura”. Non più magari in nome della classe operaia, o della Chiesa, quanto piuttosto del dialetto o di nostalgie duchiste. Sempre e comunque imposte dall’alto ad un pubblico che assiste, e a volte applaude anche, ma spesso sbadiglia e si volta da un’altra parte. Prospera a livello nazionale un’azienda televisiva, Mediaset (il nuovo vero Minculpop nazionale, che in ciò ha sostituito la vecchia Rai democristiana), il cui proprietario, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, decide i palinsesti e gli organigrammi anche della tv pubblica, controllando il 90 per cento delle risorse economiche del settore televisivo, e che è quanto di più possibile lontana dall’idea di cultura partecipata ed autogestita.
La carta stampata, che dal Settecento, quando secondo Jürgen Habermas nacque l’opinione pubblica, ha rappresentato lo sfogo e il mezzo privilegiato dello scambio e della circolazione delle idee, a livello locale non offre ospitalità in maniera continuativa agli spiriti critici come Mario Pecoraro, che all’attività professionale propria affiancano anche quella pubblicistica (laureato in Lettere classiche, Pecoraro ha insegnato materie letterarie nelle scuole medie, e, appassionato di storia, ha pubblicato diversi volumi sulla storia del Risorgimento e del socialismo locale, nonché svariati interventi su riviste specialistiche).
Gli scritti di questo volume sono prevalentemente articoli di giornale, ma, come si potrà constatare, appartengono a testate diversificate nel tempo. Mario Pecoraro scrive inizialmente su Luce, poi gli si aprono le pagine del quotidiano Il Giornale (gestione Giorgio Giusti), quindi è la volta della Gazzetta di Carpi (gestione Pier Vittorio Marvasi), c’è un intervallo decennale di silenzio poi è la volta di Modenapiù (gestione Roberto Gazzotti); l’ultimo scritto è rappresentato da una lettera al Carlino Modena. Non si tratta di un capriccio dell’autore, ma della disponibilità di una testata a pubblicare i suoi interventi. L’attività pubblicistica, infatti, soprattutto a livello locale, deve sottostare ad una serie di limitazioni. Innanzitutto, la scarsità di testate disponibili ad ospitare interventi indipendenti e potenzialmente critici verso potentati locali.
Nei giornali locali peraltro la cronaca ha la prevalenza su qualsiasi discorso critico o culturale, l’intervento pubblicistico serve da complemento o da arricchimento del prodotto, e come tale è soggetto agli umori di chi il prodotto lo confeziona. Se cambia il gestore, probabilmente cambieranno anche i collaboratori, se non ritenuti più interessanti dal nuovo arrivato. Il collaboratore ovviamente è esterno alla redazione, che può rendergli in alcuni casi impossibile la continuazione della collaborazione stessa, cestinandogli i pezzi, stravolgendoglieli o perfino rubandoglieli (quando un redattore si appropria di una idea o di un testo di un collaboratore apponendovi la sua firma: caso estremo ma realmente accaduto).
Molte testate locali poi sono effimere, non appartenendo a grandi gruppi dispongono infatti di risorse limitate e, visto il mercato ristretto dei lettori e degli inserzionisti, campano mediamente un paio di anni e poi sono costrette a chiudere. Oltre alle testate generaliste, che si occupano di tutto, ci sono parecchie riviste edite da enti o associazioni locali, ma per il taglio corporativo o l’enfasi pubblicitaria ed entusiastica non sono adatte a pubblicare interventi liberi più o meno critici e meditati (li rifiuterebbero immediatamente).
La mobilità tra le testate, quando sono disponibili, diventa quindi una necessità per chi, come Mario Pecoraro, sente l’urgenza di scrivere, di esprimere la sua opinione, non solo, ma anche di documentare la realtà che vive, che osserva, che giudica. L’importante è riuscire sempre a trovare una testata per cui scrivere in piena libertà, e non solo nella rubrica delle “lettere al direttore”. Come dimostra questo volume, il diritto di scrivere Mario Pecoraro se l’è conquistato con onore sul campo. A lui, e a chi come lui ha scelto per vocazione di scrivere, si addice quel che Max Weber sosteneva nel saggio Il lavoro intellettuale come professione - avendo l’accortezza di sostituire il termine politica con attività pubblicistica - (anche se occuparsi della cosa pubblica è cosa propriamente politica):
«La politica (attività pubblicistica ndr) consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile. Ma colui il quale può accingersi a quest’impresa deve essere un capo, non solo, ma anche – in un senso molto sobrio della parola – un eroe. E anche chi non sia l’uno né l’altro, deve foggiarsi quella tempra d’animo tale da poter reggere anche al crollo di tutte le speranze, e fin da ora, altrimenti non sarà nemmeno in grado di portare a compimento quel poco che oggi è possibile. Solo chi è sicuro di non venire meno anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuol offrirgli, e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò: “Non importa, continuiamo!”, solo un uomo siffatto ha la “vocazione” per la politica (attività pubblicistica ndr)».

Roberto Gazzotti

venerdì, novembre 07, 2003

STOP THE WALL: ISRAELE SMETTA SUBITO LA COSTRUZIONE DEL MURO

AMNESTY, ARCI, ICS, MOVIMONDO, SAVE THE CHILDREN E UISP CHIEDONO
DI FERMARE LA COSTRUZIONE DEL MURO O BARRIERA DI SICUREZZA


Sei associazioni italiane impegnate nei settori della difesa dei diritti
umani, della cooperazione, della solidarieta' internazionale e
dell'intervento umanitario (Amnesty International, Arci, Ics-Consorzio
italiano di solidarieta', Movimondo, Save the Children e Uisp-Unione
italiana sport per tutti) sollecitano la presidenza italiana dell'Unione
Europea a chiedere al governo israeliano di fermare la costruzione del
muro o barriera di sicurezza, avviata il 14 giugno 2002.
L'appello giunge alla vigilia della "Giornata internazionale di azione
contro il muro", indetta per il 9 novembre dalla Stop the Wall campaign.
"Chiediamo al governo israeliano" affermano le sei associazioni in una
dichiarazione congiunta "di interrompere la costruzione del muro o
barriera di sicurezza e di altre strutture permanenti all'interno dei
Territori Occupati, che sono causa diretta di restrizioni della liberta'
di movimento dei palestinesi all'interno degli stessi Territori, della
distruzione o confisca illegale delle loro proprieta' e di ulteriori
violazioni dei loro diritti sociali ed economici".
Le sei associazioni ribadiscono la loro piena condanna nei confronti degli
attacchi dei gruppi armati palestinesi contro la popolazione civile
israeliana e convengono sul diritto inalienabile dello Stato di Israele di
assumere misure "ragionevoli, necessarie e proporzionate" per proteggere
la sicurezza dei suoi cittadini e dei suoi confini.
Il muro o barriera di sicurezza tuttavia - sottolineano le sei
associazioni - non corre lungo la Linea Verde dell'armistizio del 1949 che
determina i confini tra Israele e i Territori occupati nel 1967: la
struttura penetra, in alcuni punti anche per venti chilometri, all'interno
dei Territori Occupati, allo scopo di comprendere numerosi insediamenti di
coloni israeliani. Tali insediamenti sono illegali, sulla base del diritto
internazionale, e dovrebbero essere smantellati.
La prima parte del muro o barriera di sicurezza, da Jenin a Qalqiliya, ha
contribuito significativamente al peggioramento delle condizioni di vita
di almeno 200.000 palestinesi, che devono oltrepassare questa struttura in
determinati posti di blocco, spesso chiusi, per muoversi all'interno dei
Territori Occupati, andare al lavoro, coltivare i campi, vendere i
prodotti, andare a scuola e ricevere cure mediche.
Il muro o barriera di sicurezza ha anche chiuso all'interno di enclave
circa 13.000 palestinesi di una quindicina di villaggi, che ora sono
intrappolati tra la Linea verde e il muro o barriera di sicurezza. La
costruzione del muro o barriera di sicurezza ha significato la distruzione
o la confisca, "per necessita' militari", di ampie porzioni di terreni
agricoli. Inoltre, decine di migliaia di palestinesi sono stati separati
da circa 100.000 dunam di terra (1 dunam = 1000 mq), che ora si trovano a
ovest del muro o barriera di sicurezza.
Amnesty, Arci, Ics, Movimondo, Save the Children e Uisp chiedono inoltre
alla presidenza italiana dell'Unione Europea di premere sulle autorita'
israeliane affinche' sia garantito pieno accesso nei Territori Occupati
alle organizzazioni non governative che da anni sono impegnate, accanto
alla societa' civile israeliana e palestinese, in azioni destinate a
promuovere un futuro di pace, tolleranza, sviluppo e rispetto dei diritti
umani.

mercoledì, novembre 05, 2003

MODENA: 50 ANNI FA IL PRIMO VILLAGGIO ARTIGIANO

Politiche innovative per garantire uno sviluppo equilibrato dell’area modenese sia dal punto di vista urbanista sia dal punta di vista ambientale. Il programma degli appuntamenti celebrativi

I Villaggi Artigiani di Modena compiono 50 anni. Era l’ottobre del 1953 quando 74 piccoli imprenditori – per la maggior parte ex-operai licenziati dalle grandi fabbriche nel dopoguerra – si riunirono per dare vita al primo Villaggio Artigiano di Modena, insediato nel quartiere della Madonnina. Un insediamento produttivo fortemente sostenuto dal Comune di Modena. Per favorire la rinascita economica del territorio, infatti, l’Amministrazione Comunale aveva dato il via a politiche di insediamento del tutto inedite, con un meccanismo che avrebbe garantito in seguito la nascita di molti altri Villaggi Artigiani: il Comune di Modena acquistava aree da privati che erano disposti a cederle a prezzo agricolo, offrendo loro la possibilità di conservare per sé un lotto, di urbanizzarlo e rivenderlo quindi a prezzo remunerativo. Allo stesso tempo il Comune di Modena urbanizzava l’area acquistata e la rivendeva ai piccoli imprenditori, che via via si attivavano sul territorio modenese, ad un prezzo che lo ripagava dell’investimento, ma che tuttavia rimaneva molto al di sotto dei costi di mercato delle aree fabbricabili. Questo risparmio nell’acquisto della sede costituiva per l’imprenditore un notevole vantaggio economico in quanto il prezzo pagato per il proprio insediamento risultava inferiore del 30/50% rispetto a quelli di mercato. Tale vantaggio economico e competitivo si traduceva poi in maggiori possibilità di sviluppo e maggiore competitività per le piccole imprese interessate.
Dal 1973 il meccanismo di insediamento produttivo sul territorio comunale di Modena è stato esteso anche a undici comuni circostanti riuniti nel Consorzio Aree produttive, ente al quale è affidato il compito di curare l’attuazione dei Piani per gli Insediamenti Produttivi (PIP) nell’ambito della pianificazione territoriale dei Comuni e della Provincia.
A 50 anni di distanza, il meccanismo dei benefit comunali per l’insediamento permette di portare a bilancio numeri importanti: nei Villaggi Artigiani si sono insediate – con un risparmio complessivo di circa 180 milioni di euro - più di mille imprese, creando complessivamente oltre diecimila posti di lavoro. La superficie totale delle imprese insediate è aumentata in questi 50 anni del 300%, così come l’occupazione, che ha fatto registrare un aumento del 44%.
La validità del modello è confermata inoltre dall’alto numero di richieste da parte di imprese che ancora oggi richiedono di insediarsi nei Villaggi Artigiani. Attualmente, infatti, in lista d’attesa ci sono oltre 500 aziende con una forza-lavoro di 5300 dipendenti. Ma oltre al vantaggio competitivo fornito alle piccole imprese insediate nei Villaggi artigiani le politiche degli insediamenti produttivi hanno consentito di raggiungere due importanti risultati di grande interesse per l’intera città. Inanzitutto attraverso tali politiche è stato possibile garantire uno sviluppo equilibrato dell’area modenese sia dal punto di vista urbanista sia dal punta di vista ambientale. Inoltre con tali azioni il Comune ha potuto dare un notevole contributo allo sviluppo delle piccole e medie imprese che caratterizzano il nostro territorio.
L’anniversario del cinquantenario del primo Villaggio prevede una ricca serie di iniziative organizzate dal Comune di Modena, Consorzio Attività Produttive Aree e Servizi, in collaborazione con ProMo, Unione Industriali, Api, Lapam Federimpresa, CNA, LegaCoop. La giornata principale è quella dell’8 novembre, nel corso della quale sono previsti l’inaugurazione di una mostra fotografica dal titolo “Il lunedì del Villaggio”, la premiazione degli imprenditori fondatori del primo villaggio artigiano, e la presentazione del volume “L’invenzione del Villaggio. Modena e i quartieri artigiani: cinquant'anni di un'esperienza d'avanguardia”, curata dall’architetto Ezio Righi, dal giornalista Michele Smargiassi e dall’economista Massimo D’Angelillo. Le manifestazioni, che prevedono anche visite guidate delle scuole nei Villaggi e altre iniziative di natura sportiva e accademica, sono iniziate lo scorso 25 ottobre con l’inaugurazione del nuovo Pip di via Malavolti.

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