giovedì, dicembre 18, 2003

PER AMNESTY SOLO LA "GIUSTIZIA GIUSTA" PUO' AIUTARE IL FUTURO DELL'IRAQ

Amnesty International ha accolto favorevolmente l'arresto di Saddam
Hussein, accusato di gravi violazioni dei diritti umani quali crimini di
guerra e crimini contro l'umanita'. Ora e' essenziale che vi sia un
processo equo e indipendente che rispetti gli standard internazionali.
"Il modo in cui si svolgera' il processo sara' cruciale per il futuro
dell'Iraq e per capire fino a che punto verra' rispettato lo stato di
diritto. E' importante che emerga la verita' ma e' ugualmente importante
che prevalga la giustizia" ha dichiarato l'organizzazione per i diritti
umani.
Qualunque corte sia chiamata a giudicare Saddam Hussein e altri imputati,
dovra' agire equamente ed essere valutata come equa dall'esterno. Dovra'
essere competente, indipendente e imparziale e seguire le procedure in
linea col diritto internazionale sul giusto processo.
Secondo Amnesty International, "la gravita' e la dimensione delle
violazioni di cui Saddam Hussein e' accusato sottolinea l'importanza
vitale che egli sia sottoposto a giustizia in un modo indiscutibilmente
equo. Le innumerevoli vittime di decenni di gravi violazioni dei diritti
umani commesse dal precedente governo non meritano niente di meno".
Amnesty International preme affinche' sia seriamente presa in
considerazione l'opzione di coinvolgere nel processo esperti non iracheni.
L'Iraq ha una forte tradizione giuridica, ma in questo paese non si sono
mai celebrati processi per reati complessi come i crimini di guerra e i
crimini contro l'umanita'. Se da un lato sarebbe importante che il
processo si svolgesse in Iraq, dall'altro non e' chiaro se e come, in un
contesto fortemente politicizzato, l'indipendenza e l'imparzialita' dei
persecutori e dei giudici potrebbe essere garantita.
Il nuovo tribunale speciale in Iraq e' stato istituito senza un'ampia
consultazione con la societa' civile o una consulenza da parte degli
esperti legali internazionali, che hanno esperienza di situazioni simili.
Le sue caratteristiche, tuttavia, possono essere ancora modificate.
"L'Autorita' provvisoria della coalizione e il Consiglio di governo
iracheno dovrebbero chiedere agli esperti delle Nazioni Unite coinvolti in
situazioni analoghe in altri paesi, di assicurare che venga scelta la
migliore delle soluzioni. Altrimenti, si rendera' un cattivo servizio alla
causa della giustizia, non solo in Iraq ma nel mondo" ha sottolineato
Amnesty International.
L'organizzazione per i diritti umani e' anche preoccupata per il fatto che
la pena di morte e' ancora prevista nell'ordinamento del tribunale
speciale. Il processo nei confronti di Saddam Hussein e di altri imputati
non dovra' essere visto come una vendetta. L'Autorita' provvisoria ha
sospeso la pena capitale e Amnesty International auspica che venga abolita
per sempre.
"Ci dispiace profondamente vedere rappresentanti delle Potenze occupanti
manifestare supporto o neutralita' nei confronti della pena di morte in
Iraq, anziche' incoraggiare l'abolizione definitiva di questa pena
obsoleta e inumana" ha aggiunto Amnesty International.
Come ex capo delle forze armate irachene, Saddam Hussein e' un prigioniero
di guerra e deve essere trattato come tale, ad esempio ricevendo
immediatamente la visita dei delegati del Comitato internazionale della
Croce Rossa. Come ogni altro imputato, Saddam Hussein ha diritto a tutte
le garanzie previste dal diritto internazionale, compreso il diritto a non
essere sottoposto a torture e maltrattamenti e il diritto a ricevere un
processo equo.
Rispetto alle immagini degli esami medici trasmesse dalla televisione,
Amnesty International ricorda che la III Convenzione di Ginevra sul
trattamento dei prigionieri di guerra prevede che questi siano trattati
con umanita' in ogni circostanza e siano protetti dalla "pubblica
curiosita'".
"C'era bisogno di mostrare che Saddam Hussein e' vivo e agli arresti, ma
mostrarlo mentre viene sottoposto a un esame della bocca e dei capelli non
era necessario e fa dubitare delle reali intenzioni nel distribuire tali
immagini".
Durante tutta la durata del regime di Saddam Hussein, Amnesty
International ha pubblicato rapporti e lanciato azioni sulle gravi
violazioni dei diritti umani in Iraq e per anni ha chiesto che venisse
posta fine all'impunita' per tali abusi. Gia' nel 1988 l'organizzazione
chiese al Consiglio di Sicurezza di intervenire per porre fine alle
massicce violazioni dei diritti umani contro i curdi. Ora la verita' deve
emergere e le vittime e le loro famiglie devono essere compensate.
"Gli standard che devono essere seguiti nel corso della detenzione, degli
interrogatori e del processo devono essere basati sugli stessi principi
che Saddam Hussein e altri imputati hanno negato al popolo iracheno: i
principi del diritto internazionale" ha concluso Amnesty International.

lunedì, dicembre 15, 2003

LEGGE GASPARRI, CIAMPI NON LA FIRMA

Ecco il testo integrale del messaggio di Carlo Azeglio Ciampi che rinvia il disegno di legge Gasparri alle Camere

"Signori parlamentari, in data 5 dicembre 2003, mi è stata
inviata per la promulgazione la legge: "Norme di principio in
materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della Rai-
Radiotelevisione italiana Spa, nonchè delega al governo per
l'emanazione del testo unico della radiotelevisione",
approvata alla Camera dei Deputati il 3 aprile 2003,
modificata dal Senato il 22 luglio 2003, nuovamente modificata
dalla Camera dei Deputati il 2 ottobre 2003 e approvata in via
definitiva dal Senato il 2 dicembre 2003.

"Il relativo disegno di legge era stato presentato dal governo
alla Camera dei Deputati il 23 settembre 2002.
Successivamente, il 20 novembre 2002, era sopraggiunta la
sentenza della Corte Costituzionale n.466, che dichiarava "la
illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 7, della
legge 31 luglio 1997, n.249 (Istituzione della Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivo, nella parte in cui non
prevede la fissazione di un termine finale certo, e non
prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003,
entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti eccedenti
i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono
essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo".

"La data del 31 dicembre 2003 era già stata indicata, come
termine per la cessazione del regime transitorio di cui
all'articolo 3, settimo comma, della legge n.249 del 1997,
dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
(Deliberazione n.346 del 7 agosto 2001)"

"Detto articolo 3 -prosegue il testo del Presidente- rinvia ai
limiti fissati dal sesto comma dell'articolo 2 della stessa
legge n. 249, laddove si stabilisce che ad uno stesso soggetto
a soggetti controllati o collegati 'non possono essere
rilasciate concessioni ne' autorizzazioni che consentano di
irradiare più del venti per cento rispettivamente delle reti
televisive o radiofoniche analogiche e dei programmi
televisivi o radiofonici numerici, in ambito nazionale,
trasmessi su frequenze terrestri, sulla base del piano delle
frequenze".

"La sentenza della Corte n. 466 del 20 novembre 2002 muove
dalla considerazione della situazione di fatto allora
esistente che, a suo giudizio, 'non garantisce... l'attuazione
del principio del pluralismo informativo esterno, che
rappresenta uno degli 'imperativi' ineludibili emergenti dalla
giurisprudenza costituzionale in materia".

"Nell'ultima delle considerazioni in diritto, la Corte precisa
che 'la presente decisione, concernente le trasmissioni
televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri
analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che
potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione
digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse
tecniche disponibili.

"Dalla sentenza i cui contenuti essenziali sono stati
richiamati dai presidenti delle Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni e dell'Autorità garante della concorrenza e del
mercato, nelle audizioni rese alle Commissioni riunite VII e
IX della Camera dei deputati il 10 settembre 2003, discende
pertanto che per poter considerate maturate le condizioni del
diverso futuro assetto derivante dall'espansione della tecnica
di trasmissione digitale terrestre e, quindi, per poter
giudicare superabile il limite temporale fissato nel
dispositivo, deve necessariamente ricorrere la condizione che
sia interventuo un effettivo arricchimento del pluralismo
derivante da tale espansione".

"La legge a me inviata si fa carico di questo problema. Le
norme che disciplinano l'aspetto sopra considerato sono
contenute nell'articolo 25, il cui primo comma stabilisce che,
entro il 31 dicembre 2003, dovranno essere rese attive reti
televisive digitali terrestri ponendo, in particolare, a
carico della società concessionaria del servizio pubblico
(secondo comma) l'obbligo di predisporre impianti (blocchi di
diffusione) che consentano il raggiungimento del cinquanta per
cento della popolazione entro il primo gennaio 2004 e del
settanta per cento entro il primo gennaio 2005".

"L'articolo 25, terzo comma, stabilisce inoltre che
'l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro i 12
mesi successivi al 31 dicembre 2003, svolge un esame della
complessiva offerta dei programmi televisivi digitali
terrestri allo scopo di accertare: a) la quota di popolazione
raggiunta dalel nuove reti digitali terrestri; b) la presenza
sul mercato di decoder a prezzi accessibili; c) l'effettiva
offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da
quelli diffusi dalle reti analogiche".

"Ciò premesso, ritengo di dover formulare alcune osservazioni
in merito alla compatibilità di talune disposizioni della
legge in esame con la sentenza n.466/2002 della Corte
Costituzionale.

Una prima osservazione riguarda il termine massimo assegnato
all'Autorità per effettuare detto esame: "Entro i dodici mesi
successivi al 31 dicembre 2003" (articolo 25, terzo comma).
Questo lasso di tempo - molto ampio rispetto alle presumibili
occorrenze della verifica - si traduce, di fatto, in una
proroga del termine finale indicato dalla Corte Costituzionale.

Una seconda osservazione concerne i poteri riconosciuti alla
Autorità: questa, entro i trenta giorni successivi al
completamento dell'accertamento, invia una relazione al
Governo e alle competenti Commissioni parlamentari, "nella
quale verifica se sia intervenuto un effettivo ampliamento
delle offerte disponibili e del pluralismo nel settore
televisivo ed eventualmente formula proposte di interventi
diretti a favorire l'ulteriore incremento dell'offerta di
programmi televisivi digitali terrestri e dell'accesso ai
medesimi" (articolo 25, terzo comma).

"Ne deriva che, se l'Autorità dovesse accertare, entro il
termine assegnatole, che le supposte condizioni
(raggiungimento della prestabilita quota di popolazione da
parte delle nuove reti digitali terrestri, presenza sul
mercato di decoder a prezzi accessibili; effettiva offerta al
pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli
diffusi dalle reti analogiche) non si sono verificate, non si
avrebbe alcuna conseguenza certa. La legge, infatti, non
fornisce indicazioni in ordine al tipo e agli effetti dei
provvedimenti che dovrebbero seguire all'eventuale esito
negativo dell'accertamento.

"Si consideri, inoltre, che il paragrafo 11, penultimo
capoverso, delle considerazioni in diritto della sentenza
n.466, recita: "D'altro canto, la data del 31 dicembre 2003
offre margini temporali all'intervento del legislatore per
determinare le modalità della definitiva cessazione del regime
transitorio di cui al comma 7 dell'articolo 3 della legge n.
249 del 1977".

'Ne consegue che il primo gennaio 2004 può essere considerato
come il dies a quo non di un nuovo regime transitorio, ma
dell'attuazione delle predette modalità di cessazione del
regime medesimo, che devono essere determinate dal Parlamento
entro il 31 dicembre 2003. Si rende, inoltre, necessario
indicare il dies ad quem e, cioè, il termine di tale fase di
attuazione.

"Tutto ciò detto in relazione alla compatibilità delle
succitate disposizioni della legge in esame con la sentenza
n.466 del 20 novembre 2002, non posso esimermi dal richiamare
l'attenzione del Parlamento su altre parti della legge che-per
quanto attiene al rispetto del pluralismo dell'informazione-
appaiono non il linea con la giurisprudenza della Corte
Costituzionale.

"Si consideri, a tale proposito, che la sentenza della Corte
Costituzionale n. 826 del 1988 poneva come un imperativo la
necessità di garantire "il massimo di pluralismo esterno, onde
soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il
diritto del cittadino all'informazione". E ancora, nella
sentenza n. 420 del 1994, la stessa Corte sottolineava
l'indispensabilità di "un'idonea disciplina che prevenga la
formazione di posizioni dominanti".

"Nell'ambito dei principi fissati dalla richiamata
giurisprudenza della Corte Costituzionale si è mosso il
messaggio da me inviato alle Camere il 23 luglio 2002.

"Per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi finanziari,
il sistema integrato delle comunicazioni (SIC)- assunto dalla
legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei
ricavi dei singoli operatori della comunicazione- potrebbe
consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il
20 per cento (articolo 15, secondo comma, della legge) di
disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar
luogo alla formazione di posizioni dominanti".

"Quanto al problema della raccolta pubblicitaria, si richiama
la sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 1985 che,
riprendendo principi affermati in precedenti decisioni,
richiede che sia evitato il pericolo 'che la radiotelevisione,
inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della
libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una liberta' che la
Costituzione fa oggetto di energica tutela".

"Si rende, infine, indispensabile espungere dal testo della
legge il comma 14 dell'articolo 23, che rende applicabili alla
realizzazione di reti digitali terrestri le disposizioni del
decreto legislativo 4 settembre 2002, numero 198, del quale la
Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale con la sentenza numero 303 del 25 settembre/1
ottobre 2003. Per la stessa ragione, va soppresso il
riferimento al predetto decreto legislativo dichiarato
incostituzionale, contenuto nell'articolo 5, primo comma,
lettera l) e nell'articolo 24, terzo comma".

"Per i motivi innanzi illustrati, chiedo, alle Camere, a norma
dell'articolo 74 primo comma, della Costituzione, una nuova
deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 5
dicembre 2003".

sabato, dicembre 13, 2003

GIGETTO: VIADOTTI E GALLERIE ATTRAVERSO LA CITTÀ

Approntata una stazione sotterranea al servizio del Policlinico
Alle Fs realizzato un nuovo binario. E già si pensa a collegare Carpi


Il 14 dicembre 2003 un treno percorrerà, per la prima volta con passeggeri a bordo, il ricostruito collegamento tra la stazione Piccola e quella centrale, realizzato parte in galleria e parte su viadotto. L’inizio della progettazione della trasformazione della Modena-Sassuolo in linea ferroviaria leggera di collegamento metropolitano risale a diversi lustri fa, anche se sono più di 120 anni (per l’esattezza dal primo aprile 1883) che il treno collega il capoluogo con Sassuolo e dal settembre 1932, con l’elettrificazione, proprio partendo dalla stazione che tutti i modenesi conoscono come Piccola. Dal 1970 questa linea è rimasta poi l’unica a congiungere via strada ferrata il capoluogo con la provincia, essendo negli anni state soppresse le tratte per Finale, Mirandola, Vignola: la Modena-Sassuolo fino al 1976 è stata gestita dalla Sefta e poi dall’Atcm, che ha iniziato il suo recupero e la sua riqualificazione, innanzitutto con il rinnovo del materiale rotabile, poi approntando i progetti preliminari di quello che comunemente viene oggi definito Gigetto.
La soluzione definitiva è stata individuata nel 1998: un sottopasso che permetta di scavalcare via Vignolese e viale Moreali, una fermata sotterranea a sei metri di profondità a servizio del Policlinico e la risalita in superficie all’altezza di via Pelusia, dove sono state installate barriere antirumore fino a via Divisione Acqui. Da qui si abbandona il vecchio tracciato della tratta Modena-Mirandola per salire sul viadotto lungo 750 metri che scavalca la ferrovia Bologna-Milano e poi scende a fianco della stessa, entrando nella stazione delle Ferrovie dello Stato (ora RFI) dal nuovo binario 7. Presto poi si interverrà sulla linea Modena-Sassuolo per qualificare le fermate esistenti e crearne di nuove, a Baggiovara e in città, mentre sono già stati costruiti nuovi ponti sui canali Cerca e Fossa e approntata la nuova linea elettrica e di segnalamento su tutto il tracciato. I lavori sul collegamento che si inaugura domenica, lungo circa 3500 metri, sono stati eseguiti dal Consorzio Cooperative Costruzioni e sul tratto coperto del tracciato verrà presto costruita una pista ciclabile.
Quest’opera è stata realizzata utilizzando esclusivamente fondi pubblici, resi disponibili anche dall’Accordo di Programma firmato al momento del via libera al passaggio dell’Alta Velocità sul nostro territorio.
La linea Modena-Sassuolo, che nel 2002 ha trasportato circa 250 mila passeggeri, dal 26 di gennaio arriverà così a venti chilometri di lunghezza e sette stazioni, e prevederà 38 corse, 19 per ciascuna delle due direzioni di marcia, che avranno una frequenza di trenta minuti circa nelle ore di punta e di sessanta minuti circa nelle altre, dalle 5.30 alle 21, festivi esclusi. Nuove corse saranno poi aggiunte dal primo di marzo. Nei prossimi anni l’intenzione è quella comunque di portare le corse a 50 e di acquistare nuovi e moderni treni, più veloci e comodi. Inoltre, assieme alla Regione Emilia-Romagna, Atcm sta valutando l’ipotesi di estendere il servizio fino a Carpi, che sarebbe collegata così direttamente a Sassuolo senza soluzione di continuità.
L’ingresso della Modena-Sassuolo nella stazione centrale di Modena è stato reso possibile come detto grazie ad una serie di interventi realizzati da RFI, Rete Ferroviaria Italiana, la società dell’infrastruttura del Gruppo Ferrovie dello Stato. In particolare è stato costruito il nuovo binario 7 e sono stati adeguati tutti gli apparati funzionali alla circolazione in sicurezza dei treni. Il nuovo binario, servito da un marciapiede lungo 250 metri e completo di pensilina, è raggiungibile da entrambi i sottopassaggi della stazione (quello lato Bologna e quello lato Milano). Il primo è stato poi appositamente prolungato di 16 metri ed entro il mese di marzo un ascensore al servizio del sottopassaggio lato Modena consentirà anche qui il superamento delle barriere architettoniche. I lavori, iniziati a giugno, hanno richiesto un investimento complessivo da parte di RFI di circa 2 milioni e 100mila euro.

venerdì, dicembre 12, 2003

13 E 14 DICEMBRE: AMNESTY INTERNATIONAL LANCIA LA "MARATONA AZIONI URGENTI"

Da mezzogiorno di sabato 13 alla stessa ora di domenica 14, centinaia di
migliaia di soci di Amnesty International in trenta paesi di ogni parte
del mondo prenderanno parte alla "Maratona azioni urgenti", una mobilitazione straordinaria in favore di uomini e donne che rischiano, nei prossimi giorni, di subire gravi violazioni dei diritti umani. Oltre all'Italia, parteciperanno all'iniziativa i seguenti paesi: Armenia, Australia, Austria, Bahrain, Barbados, Bermuda, Canada, Finlandia,
Germania, Giappone, Kyrgyzstan, Libano, Malaysia, Messico, Nepal, Nuova
Zelanda, Paraguay, Perú, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Stati Uniti
d'America, Sudafrica, Tanzania, Togo, Tunisia, Turchia, Venezuela e Zimbabwe.
In Italia, la "Maratona azioni urgenti" si svolgerà nell'ambito della
campagna "Io non discrimino", lanciata dalla Sezione Italiana di Amnesty International nel marzo di quest'anno. Le azioni urgenti riguarderanno:
- il rischio di rimpatrio in Cina di un gruppo di uiguri,
attualmente detenuti nella base navale statunitense di Guantanamo Bay. Gli
uiguri, una minoranza turcofona e musulmana della regione autonoma del
Xinjiang, subiscono da anni una forte repressione da parte delle autorità
cinesi, intensificatasi all'indomani dell'11 settembre
- la persecuzione religiosa ai danni di otto attivisti della chiesa
cristiana evangelica in Eritrea. In questo paese, i fedeli delle
confessioni non autorizzate vanno regolarmente incontro ad arresti e
torture
- la possibile esecuzione della condanna a cinquanta frustate nei
confronti di sette donne, arrestate in Iran per aver ascoltato musica
durante il Ramadan.
La tecnica delle azioni urgenti risale al 19 marzo 1973, data in cui
Amnesty International lanciò il suo primo appello in favore di Luiz Rossi,
minacciato di tortura sotto il regime brasiliano. L'azione consiste
nell'invio immediato di un elevato numero di appelli alle autorità dei
paesi in cui una o più persone stanno subendo gravi violazioni dei diritti
umani e la loro vita o le loro condizioni di salute sono in forte
pericolo.

giovedì, dicembre 11, 2003

CIAMPI, NON FIRMARE LA GASPARRI!

In nome della libertà di stampa, Reporter senza frontiere chiede al presidente della Repubblica di non controfirmare la legge sul riassetto del sistema radiotelevisivo

La legge "Gasparri" sulla riforma del sistema radiotelevisivo è stata adottata dal Parlamento italiano il 2 dicembre 2003. La legge, il cui obiettivo ufficiale è di preparare il passaggio dall'attuale trasmissione analogica alla televisione digitale terrestre, permette di possedere interessi plurimediali, riforma i limiti antitrust e la composizione del Consiglio di amministrazione (Cda) della televisione pubblica RAI. Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dispone di un mese di tempo per decidere di approvare il testo o rimandare in Parlamento il provvedimento del Governo, nel caso in cui ravvisi un profilo di palese incostituzionalità (articolo 73 della Costituzione italiana).
« Questa riforma, che serve con tutta evidenza gli interessi del gruppo Mediaset di proprietà di Silvio Berlusconi, rappresenta un pericolo per l'autonomia della televisione pubblica e una minaccia per il pluralismo dell'informazione. In nome della libertà di stampa, Le chiediamo di non promulgare questa legge », ha scritto Robert Ménard, segretario generale di Reporter senza frontiere, in una lettera indirizzata al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. « La concentrazione nelle mani di una sola persona, di un imponente impero mediatico e del potere politico, continua a rappresentare un'anomalia unica in Europa. La legge sul sistema radiotelevisivo, come peraltro il progetto di legge sul conflitto di interessi, non fanno che aggravare questa situazione. Con la loro approvazione, l'Unione europea darebbe un pessimo esempio ai paesi che devono ancora integrare i principi della libertà di stampa e della democrazia », ha aggiunto. La legge Gasparri elimina di fatto l'interdizione fatta a una sola persona, di detenere più di due reti televisive nazionali. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, può quindi conservare la proprietà delle sue tre reti nazionali (Italia 1, Canale 5 e Retequattro). La Corte costituzionale aveva pertanto richiesto il passaggio di Retequattro sul satellite dal 1° gennaio 2004, per rispettare le leggi della concorrenza.
Il testo di legge approvato elimina l'interdizione di detenere interessi plurimediali. Dal 31 dicembre 2008, chi possiede più di una rete televisiva potrà acquisire partecipazioni in quotidiani o costituire nuove imprese editoriali e viceversa. Ma in realtà, la situazione finanziaria in cui versa di fatto la stampa, difficilmente permetterà questa reciprocità. Quindi con la legge appena approvata, a partire dal 1° gennaio 2009, il proprietario di una rete televisiva potrà fare acquisizioni nella stampa. Di fatto, Silvio Berlusconi era già proprietario di Mondadori, uno dei più importanti gruppi editoriali del paese.
Inoltre, la legge "Gasparri" riforma i limiti antitrust. Se il testo afferma che nessun operatore può conseguire ricavi superiori al 20% del Sic (sistema integrato delle comunicazioni) individuato come nuovo parametro di riferimento per fissare i tetti antitrust, il calcolo delle entrate pubblicitarie è ampliato a dismisura. Contiene infatti oltre alle entrate determinate dagli spot televisivi, (editoria, cinema e stampa compresi), anche i ricavi da canone, da pubblicità nazionale e locale, da telesponsorizzazioni, da televendite e telepromozioni, da offerte televisive a pagamento, da vendite di servizi, di beni e abbonamenti. La televisione pubblica RAI e la privata Mediaset si dividono il 93 % degli investimenti pubblicitari televisivi, di cui il 63% per il solo gruppo Mediaset.
La riforma prevede infine la privatizzazione progressiva della RAI e la modifica della composizione del suo Cda. La privatizzazione della RAI inizierà entro il 31 gennaio 2004, ma gli azionisti non potranno detenere più dell'1 % delle quote di capitale, lasciando quindi di fatto il controllo della televisione pubblica nelle mani del ministero dell'Economia. Il Cda del servizio pubblico passerà da cinque membri nominati dal presidente del Senato e della Camera dei deputati a nove membri, di cui sette saranno nominati dalla Commissione parlamentare di vigilanza e due, tra cui il presidente, dal ministero dell'Economia. Lucia Annunziata, attuale presidente del Cda RAI, ha annunciato che consegnerà le sue dimissioni se la legge sarà controfirmata dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
Reporter senza frontiere ricorda che la legge sul conflitto di interessi deve ancora essere approvata dal Senato. Il testo afferma che la gestione di un'azienda con scopo di lucro è incompatibile con una carica governativa, ma che non c'è conflitto di interessi se la gestione di questa società è affidata a una terza persona. Ora, il nome di Silvio Berlusconi non appare in nessun organigramma delle sue proprietà, la cui gestione è affidata alla famiglia o a persone di sua fiducia. In questo caso particolare dunque, il conflitto di interessi sarebbe inesistente.
In un rapporto dal titolo « Conflitto di interessi nei media : l'anomalia italiana », pubblicato da Reporter senza frontiere nell'aprile 2003, l'organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa analizza le conseguenze del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi sul pluralismo dell'informazione in Italia, posizionata al 53o posto nella classifica mondiale della libertà di stampa nel 2003.

Il rapporto integrale è disponibile in francese, inglese e spagnolo su http: //www.rsf.org e in italiano su http://www.rsfitalia.org

mercoledì, dicembre 10, 2003

L'UNIVERSITA' DI BOLOGNA STUDIA MODENAPIU'

Gentile signor Roberto Gazzotti, sono Nicola Palma, uno studente del corso di laurea in Scienze della comunicazione presso l'università di Bologna. Nell'ambito del laboratorio "Comunicazione giornalistica on line" sono stato incaricato di esaminare il suo blog "Modenapiù". L'analisi consta di due parti:
1. usabilità del sito e sfruttamento delle risorse del mezzo con cui si opera
2. intervista con il responsabile del lavoro
Ho già completato il primo punto, trovando molto interessante il suo blog
di politica, attualità e cultura, ma per soddisfare il secondo punto ho
bisogno del suo aiuto. Non ho trovato alcun recapito telefonico sul blog
e quindi le invio questa e-mail. Le elenco di seguito le domande
a cui dovrebbe rispondere per soddisfare la mia ricerca, nel caso volesse
rispondermi direttamente via e-mail:
1. Di quante persone è composta la redazione on line?
2. Quanti giornalisti vi operano? E tecnici?
3. Come avviene il lavoro di realizzazione dell'edizione on line?
4. Come avviene la raccolta di notizie? Come le selezionate?
5. Ogni quanto le aggiornate?
6. Come avviene la loro messa in pagina?
7. Chi cerca le foto o eventuali contributi audio-video?
8. Chi tiene i rapporti con i lettori nel caso in cui siano previsti forum?
9. Da che cosa ricavate i profitti? Dalla pubblicità o dall'autofinanziamento?
Aspettando una sua risposta le porgo i miei saluti e le rinnovo il mio apprezzamento
per la sua iniziativa.
Nicola Palma

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Rispondo immediatamente. Premetto che quel che vedi è ciò che rimane di un periodico quindicinale cartaceo che ho editato a Modena tra il 1999 e il 2001, poi chiuso per ragioni economiche. I testi erano stati posti online, poi chi mi aveva messo a disposizione il sito come scambio merce (pubblicavo la sua pubblicità sul giornale) lo ha chiuso. I testi sono andati perduti, peccato perché per un certo periodo realizzavo una rassegna stampa internazionale on line. Quello che vedi adesso è un sito di fortuna, provvisorio, realizzato senza spese grazie all'esistenza di blogger.com, un'iniziativa di due giovani californiani che mettono a disposizione spazi web gratuitamente in cambio dell'ospitalità dei loro banner pubblicitari. Recentemente blogger.com è stata acquisita da Google. Tutte queste notizie puoi verificarle sul sito www.blogger.com. L'attuale sito di Modenapiù non è molto di più di un mio personale archivio di materiali vari, comunicati stampa, ecc. Ho visto che c'è adesso la possibilità di cambiare le date dei post immessi (fino a qualche settimana fa la data era quella dell'immissione in rete e non si poteva modificare) e con un po' di pazienza penso di rimettere in rete i testi migliori dell'edizione cartacea della rivista, che poteva contare sulla collaborazione di personaggi modenesi interessanti, come Renato Bertacchini nella critica letteraria (lo puoi leggere normalmente sul quotidiano Libero di Vittorio Feltri), cultori della storia locale come Franco Focherini, Mario Pecoraro, giornalisti come Tito Taddei (Modena Radio City), esperti di arte come il giovane Giuseppe Bertoni o il più stagionato Carlo Federico Teodoro, già direttore della Galleria Civica di Modena e critico artistico dell'edizione locale dell'Unità, ecc. Il taglio era quello dell'intrattenimento e dell'informazione culturale, con valenze problematiche. Le istituzioni locali preferiscono invece elogi sperticati e la pubblicazione dei loro comunicati stampa, non certo la critica culturale indipendente. Ma passo a risponderti punto per punto.

1) la redazione on line è composta solo da me
2) idem
3) essendo un "archivio personale", metto in linea documenti e testi che "mi pesano" sull'hard disk
4) la raccolta delle notizie avviene con la ricezione di comunicati stampa di organizzazioni ed enti che hanno l'indirizzo in elenco, con segnalazioni di ex collaboratori, con stimoli personali derivanti da mie fonti e letture. La selezione è basata appunto sull'interesse personale o sulla rilevanza dell'argomento.
5) l'aggiornamento avviene quando ho tempo e voglia, è molto umorale; l'ideale sarebbe l'aggiornamento quotidiano con una piccola rassegna stampa completa di links a fonti internazionali, l'idea iniziale era questa, in fondo...
6) la messa in pagina è automatica attraverso il modulo messo a disposizione da blogger.com, cui rimando per tutti gli aspetti tecnici (il sito ovviamente è in inglese)
7) la soluzione che uso attualmente di blogger.com è gratuita e non consente l'utilizzo di foto e video. C'è un upgrade a pagamento (pochi dollari, comunque) che permette anche quello. Ma per il momento non mi interessa
8) non ho ancora capito come rendere interattivo il sito, comunque c'è l'indirizzo e-mail, e io sono sempre disponibile a rispondere ai lettori
9) come ho già detto, il sito non ha costi che non siano quelli del collegamento internet e del tempo che ad esso posso dedicarci, e non ha entrate.

Spero di essere stato esauriente, se ti servono altre informazioni, sono a tua disposizione: preferisco risponderti via e-mail. Fammi sapere i risultati del lavoro ultimato. Ciao, e grazie per l'attenzione

Roberto Gazzotti

martedì, dicembre 09, 2003

IMMORALE LA LEGGE SULLA PROCREAZIONE ASSISTITA

Pubblichiamo l'appello rivolto da una serie di personalità della scienza e della cultura, contrarie alla nuova legge in materia di procreazione assistita.

"Riteniamo doveroso affermare che la normativa in discussione al Senato sulla procreazione medicalmente assistita è inaccettabile e immorale: se approvata, violerebbe il diritto delle cittadine e dei cittadini di formare una famiglia secondo i loro valori e le loro più profonde convinzioni, nonché il diritto di essere liberi di scegliere se avere o non avere figli, quanti averne, quando averli e come averli, anche ricorrendo all'assistenza medica.
La libertà riproduttiva è un valore definitivamente consolidato dalla crescita civile di un'Italia che, anche grazie ai referendum sul divorzio e sull'aborto, ha raggiunto nuova maturità.
Siamo a dir poco stupefatti nel constatare che il progetto di legge in discussione al Senato costituisce un radicale attacco alla crescita civile del nostro paese: anziché affidare le scelte sulla prole alla responsabilità delle persone, impone divieti e forti limitazioni prevedendo sanzioni ispirate spesso a una concezione inutilmente crudele della pena.
Alcuni di questi divieti (come quello di diagnosi pre-impianto con l'obbligo di reinserimento in utero di tutti gli embrioni formati), stupefacenti dal punto di vista scientifico e ripugnanti dal punto di vista morale, verrebbero ad incidere sulla salute e sul benessere dei bambini che nasceranno per mezzo della fecondazione assistita. Alcune delle restrizioni poste renderebbero di fatto le donne fruitrici della cura della sterilità cittadine di secondo ordine.
L'approvazione del progetto di legge costituirebbe una sconfitta per tutti: per i cattolici che, richiedendo e approvando una legge che ammette la fecondazione artificiale, ne riconoscerebbero implicitamente la legittimità tradendo il principio d'inscindibilità tra vita sessuale e vita riproduttiva; per i laici, che vedrebbero fortemente limitata la libertà personale dalla volontà di una maggioranza parlamentare; per lo Stato che verrebbe ferito nel principio fondante della laicità e che, approvando la legge cattolica auspicata dallo stesso Pontefice, ricostruirebbe antichi steccati alimentando vecchie e nuove tensioni.
Auspichiamo che - dopo matura e libera riflessione - anche i senatori giungano a queste stesse conclusioni: noi rispettiamo la loro libertà di coscienza, ma chiediamo loro di non usarla per coartare quella di milioni di italiani approvando una legge che, invece di garantire pace e convivenza fra le diverse componenti della nostra società, verrebbe ad espropriare le cittadine e i cittadini della libertà di procreare, mutilandone i progetti di vita".

Gilda Ferrando, Carlo Flamigni (membro del Comitato nazionale di bioetica), Antonino Forabosco, Eugenio Lecaldano, Rita Levi Montalcini (membro Cnb), Maurizio Mori, Piero Musiani, Demetrio Neri (membro Cnb), Alberto Piazza (membro Cnb), Valerio Pocar (presidente della Consulta di bioetica), Annalisa Silvestro (membro Cnb), Tullia Zevi (membro Cnb).

venerdì, dicembre 05, 2003

IL SANGUE DEI VINTI ED IL PCI

Il nuovo libro di Giampaolo Pansa Il sangue dei vinti ha riacceso l'interesse sulle vicende tragiche che hanno contraddistinto il biennio successivo alla Liberazione in alcune regioni italiane, in primis l'Emilia Romagna e in particolare la provincia di Modena. Il famoso giornalista di sinistra è stato ospite della trasmissione Excalibur di Raidue condotta da Antonio Socci, e ad essa ha partecipato in qualità di esperto anche il modenese Giovanni Fantozzi, autore anni fa di una ricerca sull'argomento. All'epoca io avevo recensito il libro di Fantozzi per il quotidiano Gazzetta di Modena, che aveva ospitato anche un successivo scambio di opinioni. Ritengo interessante riproporre ora quei miei testi, le cui tesi mi sembrano essere state suffragate dagli ultimi studi in materia, quali quelli di Di Loreto, Aga Rossi, Woller.


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GAZZETTA DI MODENA, 20 maggio 1990, pagina 23


Un libro sull’ordine pubblico nel modenese dopo la Liberazione
CRIMINI E MISFATTI
Delitti, rapimenti e inquietanti episodi segnarono un torbido biennio. Quale fu la responsabilità del Pci? Il «teorema» di Giovanni Fantozzi. Una ricerca scrupolosa ma poco convincente riapre un’annosa querelle”.


di Roberto Gazzotti

Nei due anni successivi alla Liberazione in provincia di Modena si contarono circa un migliaio di delitti. Le vittime erano perlopiù possidenti, agricoltori, commercianti, attivisti democristiani, sacerdoti (ben 22 furono i preti assassinati in quel breve lasso di tempo). I responsabili di tali delitti, accusati e condannati dai tribunali con sentenze definitive, erano per la maggior parte persone che avevano partecipato alla guerriglia partigiana e simpatizzavano, quando non ne avevano addirittura la tessera, per il Pci.
Come scrive Miriam Mafai nella sua biografia di Pietro Secchia, il grande vecchio del Pci, l’uomo che sognava la lotta armata: «Generalmente difesi da avvocati del Pci, gli imputati di quei processi non dissero mai una parola che potesse in qualche modo coinvolgere nella loro vicenda il partito di cui facevano parte. Accusati, scontarono anni di carcere, quando non riuscirono a rendersi latitanti. Nessun tribunale riuscì mai a dimostrare, nonostante tutti i tentativi fatti, una qualche responsabilità di dirigenti ed organizzazioni del Pci».
A quei tragici avvenimenti ha dedicato ora una scrupolosa ricostruzione Giovanni Fantozzi, già consigliere comunale della Dc e giornalista delle pagine modenesi del «Giornale» di Montanelli. Nel suo libro «Vittime dell’odio. L’ordine pubblico a Modena dopo la Liberazione (1945 – 1946)» (Europrom edizioni, Bologna 1990, 180 pagine, lire 18.000), vengono rievocati con efficacia e ricostruiti con puntiglio i fatti più salienti di quel tormentato biennio, dalla carneficina di sacerdoti in pianura e in montagna ai delitti del «triangolo della morte» in quel di Castelfranco, dai rapimenti ed assassinii di Redù e di Nonantola al caso del giovane attivista democristiano Missere, all’inquietante e lunghissima vicenda della «corriera della morte» scomparsa in quel di Concordia col suo carico umano, a tanti altri nefandi misfatti.
Nessun dubbio ha Fantozzi sull’organizzazione scientifica di tutta quella carneficina: «Le proporzioni del fenomeno risultano estremamente elevate e tali da non poterle certo ritenere il frutto di un moto spontaneo popolare di vendetta contro fascisti e di “azioni di giustizia” individuali. Questi avvenimenti devono invece essere inquadrati nel particolare clima di tensione politica e sociale alimentato dal Pci nell’immediato secondo dopoguerra. Esplorando in questa direzione, è possibile ricondurre lo stillicidio di episodi tanto apparentemente diversi tra loro ad un’interpretazione politica unitaria».
Insomma, ci troviamo davanti ad un «teorema Fantozzi». Avevamo già avuto un «teorema Calogero», quello sostenuto dal magistrato che voleva Toni Negri e gli altri imputati del 7 aprile padovano capi indiscussi delle Brigate Rosse e assassini di Moro, e non solo capi dell’Autonomia veneta e lombarda. Poi i processi ridimensionarono il «teorema» tutto fondato sulle illazioni e i collegamenti logici non confortati da prove empiriche, Negri e soci furono ritenuti colpevoli di ben individuati e limitati episodi criminali e scagionati dall’accusa totalizzante di essere i capofila di tutta l’eversione e la lotta armata.
Ma lasciamo ancora illustrare a Fantozzi il suo teorema: «In primo luogo la violenza omicida imperversò per tutto il 1945 ed il 1946, per quasi scomparire nel 1947 in parallelo ad un’energica azione repressiva delle forze di polizia. In secondo luogo, i protagonisti di questi atti criminosi risultarono nella stragrande maggioranza ex partigiani, quasi tutti iscritti o simpatizzanti del Pci. In terzo luogo, le vittime, pur nell’estrema varietà di specifiche condizioni personali, rientravano quasi tutte in quella più vasta categoria politica e sociale che nel linguaggio rivoluzionario di allora veniva definita dei “nemici di classe”. Infine, è un dato di fatto, che quest’esplosione di violenza ebbe dimensioni non riscontrabili in altre regioni, ed in particolre si dispiegò in quelle provincie dove più forte era l’egemonia politica del Pci (oltre a Modena, Reggio, Bologna, Ferrara). L’ampiezza e la durata di questo fenomeno mettono dunque in causa il ebbe dimensioni non riscontrabili in altre regioni, ed in particolre si dispiegò in quelle provincie dove più forte era l’egemonia politica del Pci (oltre a Modena, Reggio, Bologna, Ferrara). L’ampiezza e la durata di questo fenomeno mettono dunque in causa il esponsabili dei delitti politici con il Partito Comunista” come scrive anche lo storico Pietro Scoppola».
Decisamente è un «teorema» che prova troppo; non c’è connessione tra la materia narrata e l’ipotesi interpretativa, insomma mancano i riscontri obiettivi. Non riuscirono i tribunali negli anni ’50 a coinvolgere direttamente il Pci nella carneficina e nei massacri dell’immediato dopoguerra, e non ci riesce oggi neppure Fantozzi con artefici verbali.
Proviamo un attimo ad argomentare quel che di poco convincente c’è nel «teorema Fantozzi». Innanzitutto non risponde al vero che già il 25 aprile 1945 il Pci egemonizzasse tutta la società modenese (questo non sarà vero neppure per gli anni successivi, fortunatamente). Tra i documenti che Fantozzi cita ce n’è uno, ricavato dalla storia della repubblica di Montefiorino scritta da Ermanno Gorrieri, che racconta, in tempi non sospetti, una storia diversa.
Si tratta della relazione inviata il 12 luglio 1944 al Corpo Volontari della Libertà da Osvaldo Poppi, il “Commissario” Davide, capo dei partigiani comunisti. Scrive Poppi in quella lettera: «La gran massa dei partigiani è composta da anarco-contadini. L’istinto alla ribellione, l’impulso alla preda è l’incentivo maggiore all’entrata in azione di tali formazioni paesane. E in mezzo a tale ambiente incandescente io e pochi altri compagni coscienti abbiamo operato per educare, disciplinare queste forze incoscienti. Rifiutare l’inquadramento nella Brigata Garibaldi di tutti questi ribelli e mezzo predoni, si rischierebbe di rimanere avulsi dalla grande massa lasciata fuori dal nostro controllo, perdere la possibilità di operare all’interno quell’opera di educazione politica che solo ci darà agio di diventare un partito di massa. Giudico che la gran massa sia educabile e plasmabile e tale opera di elevazione e di indirizzo politico possa essere compiuta solo rimanendo a contatto, cioè attirandola sotto la nostra direzione».
Chiaro? L’obiettivo è quello di arrivare al controllo (che non c’è) di un movimento spontaneo, magmatico, che va per conto suo, disperso in tanti rivoli.
Leggendo la stampa dei giorni successivi alla Liberazione c’è l’eco di questa situazione in magmatico movimento nella quale nessuno controlla alcunché, nessuno sa come andrà a finire, formazioni partigiane rivali si accusano a vicenda di aver fatto sparire bottini di guerriglia, di aver intascato tesori, di creare disordini. Tutto questo Fantozzi lo ha scartato: se lo avesse preso in considerazione le sue certezze sarebbero state meno granitiche. Alla luce di tutto ciò allora diventa plausibile la tesi che la carneficina sia stata opera di elementi autonomi, «ribelli e mezzo predoni» che diventano assassini, non sapendo ritornare alla vita normale. All’osservazione che gli omicidi durano fino al 1947 si può obiettare che quei due anni sono forse stati temporalmente necessari per passare da un periodo di guerra civile ad uno di normale legalità, in presenza di un gran numero di «schegge impazzite».
Nel 1946 ci sono le prime elezioni libere (il Pci è il terzo partito nazionale con il 19% dei voti, superato dal Psi con il 21% e dalla Dc con il 35%). Nel clima di libertà ritrovato i partiti politici si impongono alla società, soprattutto i maggiori che agiscono come agenzie di integrazione sociale. Si può anche sostenere che le violenze nel 1947 finiscono perché il Pci è riuscito a conquistare l’egemonia che prima non aveva sulla sua parte di società, integrando i riottosi attraverso la «doppiezza» togliattiana e la conseguente educazione al metodo democratico.
Il fatto poi che violenze così estese siano state limitate ad alcune provincie emiliane starebbe proprio a dimostrare che quella violenza non era la linea del Pci, ma una aberrazione subita anche dal Pci. E qui, come si vede, siamo agli esatti antipodi da Fantozzi. Finché non ci saranno ulteriori studi sul periodo, con la consultazione degli archivi comunisti, la “querelle” è destinata a rimanere aperta.
Resta il fatto tuttavia che tutti dobbiamo rispettare e onorare le vittime di quegli anni terribili. Leggere e commentare il libro di Fantozzi può essere un modo per far sì che eventi del genere non abbiano a ripetersi.



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GAZZETTA DI MODENA, 13 giugno 1990, pagina 12

Nuova replica alle tesi del libro “Vittime dell’odio”

«GLI ERRORI DI FANTOZZI»
La polemica sulle violenze dei partigiani


di Roberto Gazzotti

Che Giovanni Fantozzi ci tenga a ribadire le tesi espresse nel suo libro «Vittime dell’odio» è naturale e comprensibile. L’ho scritto e lo ripeto: Fantozzi ha fatto un’otima ricerca su una pagina oscura della storia modenese. Tuttavia c’è un punto sostanziale sul quale dissento, ed è quello relativo al fatto se le uccisioni di preti, possidenti, agricoltori, commercianti, attivisti democristiani da parte di partigiani comunisti nel biennio 1945 – 1946 siano da considerare «frutto di un moto spontaneo popolare di vendetta» oppure debbano «essere inquadrate nel particolare clima di tensione politica e sociale alimentato dal Pci nell’immediato dopoguerra». Io propendo per la prima tesi, e fornisco di seguito alcuni motivi di riflessione con citazione di testi non utilizzati da Fantozzi.
Così illustra la politica comunista degli anni ’40 lo storico americano Donald Blackmer in un saggio contenuto nel volume «Il comunismo in Italia e in Francia» (Etas libri): «Dal giorno dell’aprile 1944 in cui Togliatti proclamò la svolta di Salerno con la quale il Pci acconsentiva ad entrare in una coalizione di unitè nazionale sotto il re e il maresciallo Badoglio al giorno, tre anni più tardi, in cui il partito fu estromesso per opera di De Gasperi dalla coalizione governativa, la strategia del partito fu guidata da un motivo dominante: evitare l’isolamento e partecipare al governo in collaborazione con altre forze antifasciste. Riconoscendo la necessità di operare nell’ambito di un sistema capitalistico, il partito limitava i suoi obiettivi dichiarati a riforme generali. La politica economica produttivistica era tesa a ridurre la conflittualità operaia e a mantenere la disciplina nelle fabbriche come prezzo necessario per la ricostruzione dell’economia (…) Le testimonianze storiche non lasciano dubbi sul fatto che la famosa svolta di Salerno era intesa direttamente a favorire gli interessi diplomatici sovietici (..) Molti dei quadri e dei membri più devoti non riuscivano ad accettare alla lettera la strategia di collaborazione, la ritenevano solo una necessità tattica. Questa tensione serpeggiante nella base testimonia la difficoltà di usare un’organizzazione dichiaratamente rivoluzionaria, costruita nella tradizione bolscevica, per fini non rivoluzionari» (pagg. 15 – 33).
Commenta Giorgio Galli nel suo libro «Storia del Pci»: «La borghesia italiana e i suoi interpreti politici avevano del comunismo un’idea imprecisa e un timore grande, per cui ritennero per tutto un peridodo che questo manovrare corrispondesse a un machiavellico disegno dal quale occorreva guardarsi. E poiché altrettanto imprecisa era la conoscenza del loro partito e altrettanto grande la speranza e la fiducia di coloro che ne ingrossavano le fila nella primavera del 1944, entrambe le classi protagoniste di quella fase della storia italiana giudicarono il Pci e la sua linea politica non quale essa era in realtà ma come si pensava essa dovesse essere. Più Togliatti diceva la verità, meno veniva creduto».
Rispetto ai partigiani Galli scrive: «La maggioranza di essi è comunista, anche se, come gli anni successivi dimostreranno, moltissimi tra loro non lottano per le stesse prospettive del gruppo dirigente che determina la linea del partito (…) Il Pci si mette dunque alla testa dell’insurrezione per dirigerla, incanalarla, non farla deviare dagli obiettivi limitati che la sua linea politica ha prefissato (…) L’intervento dei dirigenti più politicizzati pose rapidamente termine alle iniziative spontanee mentre, epilogo di una sanguinosa guerra civile, le esecuzioni dei fascisti continuarono ancora per qualche tempo» (pagg. 235 – 253).
Nel suo libro «Comunisti al potere. Economia, società e sistema politico in Emilia Romagna: 1945 – 1965» (Marsilio editore) Franco Piro annota: «Quanto più la Resistenza era stata vissuta come speranza rivoluzionaria, tanto più la vittoria veniva considerata una tappa intermedia e la rivoluzione proletaria era considerata possibile se non necessaria. Liberazione e rivoluzione si compenetravano a vicenda: il partito doveva continuamente intervenire sui suoi militanti per ribadire il carattere unitario e democratico dell’antifascismo. L’ossatura del partito si modella sul corpo della Resistenza. Sul partito si abbatte la durezza dei processi repressivi che indubbiamente amplificarono e strumentalizzarono comportamenti eversivi pure presenti. I leaders del centrismo utilizzarono ampiamente la situazione emiliana in funzione anticomunista. L’ampio spazio che la stampa moderata locale dà all’iniziativa segnala un indubitabile attacco politico che certamente vi fu contro il movimento partigiano».
Quindi Piro prosegue: «Nel gennaio 1949 il deputato democristiano Braschi chiede l’insediamento di una commissione di parlamentari per condurre un’inchiesta sui fatti di sangue commessi per mano partigiana durante e dopo la Liberazione. I parlamentari di sinistra si associarono alla richiesta (della commissione fanno parte tra gli altri Terracini, Pertini, Gullo e il generale Roveda): La scelta fu lucida e coraggiosa perché dava la forza di individuare le montature e le esagerazioni. Così accadde che proprio Scelba (il ministro dc dell'interno, n.d.r.) ostacolò l’attività della commissione. Forse non è lontana dal vero la conclusione fatta dall’ispettore Cristallo nella sua relazione al Ministero degli interni: “Gli accertamenti vari conducono ad affermare che la maggioranza dei responsabili è costituita da elementi partigiani comunisti e da filocomunisti. Ciò naturalmente non implica la responsabilità del Pci, in quanto potrebbe trattarsi di espressioni autonome, incontrollabili dal partito”» (pagg. 47 – 49).
Come dimostrano queste ampie citazioni, il quadro generale di riferimento a livello nazionale è molto più complesso e sfaccettato di quello unilaterale e manicheo proposto da Fantozzi. Emerge soprattutto che il Pci non è mai stato quel monolite che la propaganda comunista vuol far credere (e che anche Fantozzi inopinatamente accredita), ma è stato aspramente diviso, con parte della base che non accetta la politica del vertice e quando può agisce per conto suo, contro quella che giudica l’accomodante politica romana del Pci che va a braccetto con industriali, Vaticano, Monarchia e concede l’amnistia ai fascisti, contro la «moderata» linea Togliatti dettata da Stalin che mette in soffitta la rivoluzione in Italia per tutelare gli interessi geostrategici sovietici. Questi conflitti tra miliatnti, dirigenza locale e dirigenza nazionale sono esistiti anche a Modena, e possono spiegare la nascita delle «squadre della morte», ribelli contro il «moderatismo» del partito. In questi casi, chi rappresenta il Pci: Togliatti o il partigiano ribelle che diventa «compagno assassino»? Nella risposta a questa domanda c’è tutto il succo della polemica tra Fantozzi e me. Io rispondo: Togliatti.
Comunque in sede locale mancano studi approfonditi su questo peridodo e su questi argomenti. Eppure molti testimoni degli avvenimenti sono ancora vivi e vegeti: perché tengono la bocca chiusa e non ci fanno invece conoscere come andarono le cose in quei fatidici giorni? Perché su una cosa concordo con Fantozzi: «È bene che anche il Pci modenese faccia un approfondito esame di coscienza su quegli anni buoi ed i tristi effetti che ebbe lo stalinismo nella nostra provincia. La credibilità democratica non si conquista tirando comodi colpi di spugna sul passato». Specialmente se si ritiene di essere con la coscienza a posto.

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