Modenapiù
Una Città e il Mondo: politica, cultura, economia, società a cura di Roberto Gazzotti.
mercoledì, aprile 30, 2003
RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL
SUL KOSOVO/KOSOVA:
“MINORANZE PRIGIONIERE
IN CASA PROPRIA”
A quasi quattro anni dalla fine della guerra, le
minoranze del Kosovo/Kosova (*) sono ancora a
rischio di subire uccisioni ed attacchi a sfondo etnico:
è quanto ha denunciato oggi Amnesty International,
presentando un nuovo rapporto dal titolo “Prigionieri
nelle nostre case”.
Il rapporto descrive come le minoranze in
Kosovo/Kosova non abbiano modo di ottenere
giustizia per gli atti di violenza e le minacce alla
propria integrità fisica e psicologica da loro subiti.
L’impunità per questi abusi dei diritti umani costituisce
un effettivo impedimento alla libertà di movimento e
una limitazione al godimento dei diritti fondamentali,
come quelli al lavoro, alla salute e all’istruzione.
“Fino a quando questi diritti non potranno essere
garantiti, i rifugiati e i profughi interni che si trovano
all’estero o in altre zone della Serbia-Montenegro non
saranno in grado di rientrare nelle proprie terre” ha
osservato Amnesty International. “Ora che si sta
discutendo sul futuro dell’Iraq, la comunità
internazionale deve tener presente le lezioni del
passato e assicurare l’adozione di misure efficaci per
proteggere i diritti umani dei gruppi vulnerabili e
assicurare che non vi sarà alcuna impunità per gli
autori degli abusi dei diritti umani”.
Nel suo rapporto, Amnesty International afferma che
l’amministrazione internazionale del Kosovo/Kosova si
è trovata impreparata ai massicci abusi dei diritti
umani contro le minoranze, seguiti al rapido rientro
della comunità albanese. Sebbene gli atti di violenza
contro le minoranze siano sensibilmente diminuiti
rispetto ai mesi immediatamente successivi alla fine
della guerra, essi continuano tuttavia ad avere luogo.
Il fatto che in larga parte i reati a sfondo etnico
restino impuniti rafforza la sensazione che i loro autori
rimarranno liberi di compiere ulteriori attacchi e
contribuisce ad alimentare un clima di paura.
L’impunità per gli abusi presenti e passati nega alle
minoranze del Kosovo/Kosova i diritti fondamentali
garantiti dalle leggi nazionali e dalle norme del diritto
internazionale applicabili in questo territorio.
“Le quotidiane intimidazioni subite da serbi, bosniaci,
gorani, rom, ashkali ed egiziani (**) limitano la loro
libertà di movimento. Il timore di avventurarsi fuori
dalle enclavi monoetniche rafforza la percezione di
prigionia e di esclusione e nega alle minoranze il
godimento dei fondamentali diritti umani” ha
aggiunto Amnesty International. “L’impossibilità di
avere accesso a cure mediche adeguate ha
determinato un aumento dei tassi di mortalità e delle
malattie all’interno dei gruppi minoritari. In alcune
zone, questi non hanno accesso alle medicine di
base”.
Nei casi di emergenza, i pazienti devono rivolgersi alla
Kfor (la forza multinazionale a guida Nato presente in
Kosovo/Kosova) o recarsi a un posto di blocco della
Kfor e attendere di essere scortati a un ospedale:
spesso questi ritardi hanno conseguenze fatali.
All’interno delle enclavi monoetniche vi è una grande
difficoltà di reperire insegnanti qualificati. Per i
bambini che vivono al di fuori di queste enclavi,
andare a scuola spesso significa un viaggio di diversi
chilometri sotto scorta della Kfor. Ad esempio, venti
bambini serbi di Pristina/Prishtin¸ devono recarsi sotto
scorta della Kfor a una scuola elementare di Llapje
Selo/Llaplasell¸, a otto chilometri di distanza.
Un’insegnante delle elementari di Prizren viene presa
ogni lunedì mattina dalla Kfor e accompagnata nel
villaggio in cui lavora, dove rimane fino al venerdì,
quando sempre sotto scorta viene riaccompagnata a
casa.
L’impiego è a sua volta sottoposto a forti restrizioni. Si
calcola che fino al 90% dei serbi e dei rom siano
ufficialmente disoccupati. Nel giugno 1999 tutti i serbi
sono stati licenziati dalle industrie statali e dai servizi
pubblici.
In base alla risoluzione 1244/99 del Consiglio di
Sicurezza, la Unmik (la polizia civile delle Nazioni
Unite) ha la responsabilità di proteggere e
promuovere i diritti umani. Amnesty International
chiede alla Unmik e all’Istituzione provvisoria di
autogoverno di affrontare seriamente il problema
dell’impunità e prendere misure adeguate a
proteggere i diritti delle minoranze che già vivono in
Kosovo/Kosova. Queste misure serviranno a garantire
alle minoranze che vivono all’estero o in altre zone
della Serbia-Montenegro l’esercizio del proprio diritto a
tornare in Kosovo/Kosova in condizioni di sicurezza e
dignità.
Mentre la possibilità di rientrare continua a dipendere
dalla presenza della Kfor, Amnesty International
chiede alla comunità internazionale di assicurare che
nessun membro dei gruppi minoritari sia fatto
rientrare con la forza in Kosovo/Kosova.
(*) Tutti i nomi di luogo contenuti in questo comunicato
sono scritti in lingua serba e in lingua albanese.
(**) I gorani sono slavi musulmani. Gli ashkari e gli
egiziani sono albanofoni musulmani e si considerano
gruppi distinti dai rom
Il rapporto in lingua inglese, Kosovo/Kosova -
“Prisoners on our own homes”, è reperibile sul sito
www.amnesty.org
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SUL KOSOVO/KOSOVA:
“MINORANZE PRIGIONIERE
IN CASA PROPRIA”
A quasi quattro anni dalla fine della guerra, le
minoranze del Kosovo/Kosova (*) sono ancora a
rischio di subire uccisioni ed attacchi a sfondo etnico:
è quanto ha denunciato oggi Amnesty International,
presentando un nuovo rapporto dal titolo “Prigionieri
nelle nostre case”.
Il rapporto descrive come le minoranze in
Kosovo/Kosova non abbiano modo di ottenere
giustizia per gli atti di violenza e le minacce alla
propria integrità fisica e psicologica da loro subiti.
L’impunità per questi abusi dei diritti umani costituisce
un effettivo impedimento alla libertà di movimento e
una limitazione al godimento dei diritti fondamentali,
come quelli al lavoro, alla salute e all’istruzione.
“Fino a quando questi diritti non potranno essere
garantiti, i rifugiati e i profughi interni che si trovano
all’estero o in altre zone della Serbia-Montenegro non
saranno in grado di rientrare nelle proprie terre” ha
osservato Amnesty International. “Ora che si sta
discutendo sul futuro dell’Iraq, la comunità
internazionale deve tener presente le lezioni del
passato e assicurare l’adozione di misure efficaci per
proteggere i diritti umani dei gruppi vulnerabili e
assicurare che non vi sarà alcuna impunità per gli
autori degli abusi dei diritti umani”.
Nel suo rapporto, Amnesty International afferma che
l’amministrazione internazionale del Kosovo/Kosova si
è trovata impreparata ai massicci abusi dei diritti
umani contro le minoranze, seguiti al rapido rientro
della comunità albanese. Sebbene gli atti di violenza
contro le minoranze siano sensibilmente diminuiti
rispetto ai mesi immediatamente successivi alla fine
della guerra, essi continuano tuttavia ad avere luogo.
Il fatto che in larga parte i reati a sfondo etnico
restino impuniti rafforza la sensazione che i loro autori
rimarranno liberi di compiere ulteriori attacchi e
contribuisce ad alimentare un clima di paura.
L’impunità per gli abusi presenti e passati nega alle
minoranze del Kosovo/Kosova i diritti fondamentali
garantiti dalle leggi nazionali e dalle norme del diritto
internazionale applicabili in questo territorio.
“Le quotidiane intimidazioni subite da serbi, bosniaci,
gorani, rom, ashkali ed egiziani (**) limitano la loro
libertà di movimento. Il timore di avventurarsi fuori
dalle enclavi monoetniche rafforza la percezione di
prigionia e di esclusione e nega alle minoranze il
godimento dei fondamentali diritti umani” ha
aggiunto Amnesty International. “L’impossibilità di
avere accesso a cure mediche adeguate ha
determinato un aumento dei tassi di mortalità e delle
malattie all’interno dei gruppi minoritari. In alcune
zone, questi non hanno accesso alle medicine di
base”.
Nei casi di emergenza, i pazienti devono rivolgersi alla
Kfor (la forza multinazionale a guida Nato presente in
Kosovo/Kosova) o recarsi a un posto di blocco della
Kfor e attendere di essere scortati a un ospedale:
spesso questi ritardi hanno conseguenze fatali.
All’interno delle enclavi monoetniche vi è una grande
difficoltà di reperire insegnanti qualificati. Per i
bambini che vivono al di fuori di queste enclavi,
andare a scuola spesso significa un viaggio di diversi
chilometri sotto scorta della Kfor. Ad esempio, venti
bambini serbi di Pristina/Prishtin¸ devono recarsi sotto
scorta della Kfor a una scuola elementare di Llapje
Selo/Llaplasell¸, a otto chilometri di distanza.
Un’insegnante delle elementari di Prizren viene presa
ogni lunedì mattina dalla Kfor e accompagnata nel
villaggio in cui lavora, dove rimane fino al venerdì,
quando sempre sotto scorta viene riaccompagnata a
casa.
L’impiego è a sua volta sottoposto a forti restrizioni. Si
calcola che fino al 90% dei serbi e dei rom siano
ufficialmente disoccupati. Nel giugno 1999 tutti i serbi
sono stati licenziati dalle industrie statali e dai servizi
pubblici.
In base alla risoluzione 1244/99 del Consiglio di
Sicurezza, la Unmik (la polizia civile delle Nazioni
Unite) ha la responsabilità di proteggere e
promuovere i diritti umani. Amnesty International
chiede alla Unmik e all’Istituzione provvisoria di
autogoverno di affrontare seriamente il problema
dell’impunità e prendere misure adeguate a
proteggere i diritti delle minoranze che già vivono in
Kosovo/Kosova. Queste misure serviranno a garantire
alle minoranze che vivono all’estero o in altre zone
della Serbia-Montenegro l’esercizio del proprio diritto a
tornare in Kosovo/Kosova in condizioni di sicurezza e
dignità.
Mentre la possibilità di rientrare continua a dipendere
dalla presenza della Kfor, Amnesty International
chiede alla comunità internazionale di assicurare che
nessun membro dei gruppi minoritari sia fatto
rientrare con la forza in Kosovo/Kosova.
(*) Tutti i nomi di luogo contenuti in questo comunicato
sono scritti in lingua serba e in lingua albanese.
(**) I gorani sono slavi musulmani. Gli ashkari e gli
egiziani sono albanofoni musulmani e si considerano
gruppi distinti dai rom
Il rapporto in lingua inglese, Kosovo/Kosova -
“Prisoners on our own homes”, è reperibile sul sito
www.amnesty.org
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