Modenapiù
Una Città e il Mondo: politica, cultura, economia, società a cura di Roberto Gazzotti.
martedì, ottobre 08, 2002
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Microimprese e competizione giocata al ribasso, laboratori clandestini,
calo delle aziende e perdita occupazionale, contrattazione aziendale in
flessione: Arcangelo Lo Savio, segretario provinciale della Filtea Cgil
offre considerazioni critiche e lancia proposte concrete.
UNA POLITICA NAZIONALE
PER IL SETTORE MODA CARPIGIANO
di Arcangelo Lo Savio
(segretario generale provinciale
del sindacato tessile abbigliamento Filtea Cgil)
Oramai non ci stupiamo più di ascoltare o leggere lamenti per la mancanza di attenzione verso il sistema Moda e ancor più di sentire che il nostro distretto è in crisi e che servono strumenti per uscire dalle difficoltà.
Siamo estremamente preoccupati della attuale situazione e spero che non sia considerato cinico affermare che forse i treni sono già passati e nessuno vi è salito sopra.
Siamo in una situazione di emergenza per le chiusure aziendali, riduzioni di personale, casse integrazioni e sospensioni. Alcuni numeri della crisi:
1) raddoppio della Cig (cassa integrazione guadagni) rispetto lo scorso anno,
2) chiusura quasi quotidiana di aziende con una perdita di occupazione che del 2,5% nel primo semestre 2002 (dati CNA provinciale).
Forse non serve a nulla dichiarare che in passato la maggioranza degli imprenditori ha preferito guardare all'oggi anzichè costruire il futuro. Carpi è un distretto composto di micro imprese che hanno scelto di rimanere piccole senza mai pensare al confronto con altri imprenditori per investire sulla crescita, obiettivo questo che per alcuni imprenditori era da raggiungere da soli. E infatti molte di quelle imprese non ci sono più.
Nel frattempo si sono sviluppate le grandi catene, i marchi stanno occupando il mercato e le griffes tendono sempre più a proporre diverse linee per diverse fasce di mercato e di prezzo. Carpi ha assistito passivamente e subìto questi processi. Non vogliamo scagliare accuse gratuite nei confronti di istituzioni e associazioni imprenditoriali. In alcuni momenti la "concertazione forte" ha permesso di individuare scelte e strategie per il settore, ma mai queste sono diventate patrimonio dei singoli imprenditori. E' per quelle scelte mancate che si tende a giustificare la crisi e i rimedi, se possibile peggiori del male, come l'utilizzo dei laboratori clandestini cinesi. La responsabilità delle nostre aziende l'abbiamo più volte denunciata. Abbiamo giudicato queste scelte irricevibili sia sul piano etico e culturale, sia per il corretto funzionamento del sistema economico-produttivo. C'è di più e di peggio: utilizzare i laboratori cinesi per competere esclusivamente sui costi, equivale ad alimentare gli effetti, ampiamente prevedibili, della dequalificazione del settore.
Non è possibile quindi stare a guardare il declino del nostro comparto industriale: è necessario uscire dallo stallo con proposte forti di politica industriale.
Lo diciamo subito: sarebbe sbagliato in un momento come questo, investire risorse e impegni al fine di valorizzare il singolo "progettino aziendale" teso a ricercare il nuovo mercato o l'innovazione di un prodotto, se questo non crea benefici per l' intero distretto industriale.
Al contrario, si deve iniziare a ragionare di politica industriale, di proposte coraggiose nella speranza che esse siano condivise dalla stragrande maggioranza degli attori sociali, richiamando con forza anche le istituzioni come la regione Emilia Romagna a porre maggiore attenzione al settore e ad adottare scelte e indirizzi da favorire.
Le nostre proposte che riteniamo una priorità a livello locale.
1) Le associazioni e le istituzioni del distretto devono chiedere alla Regione Emilia Romagna un confronto specifico e permanente sui temi del settore. Si deve lavorare per istituire un tavolo permanente sul Tessile Abbigliamento e questa richiesta se necessario deve essere accompagnata da iniziative specifiche che vedano partecipi anche gli imprenditori e i lavoratori.
2) Occorre che il tavolo faccia delle scelte di politica industriale,
decidendo le priorità sulle quali le aziende devono muoversi per avere accesso a possibili finanziamenti o eventuali incentivi.
Noi indichiamo due obiettivi prioritari da realizzare:
a) la crescita dimensionale delle imprese, uscendo da una realtà di micro imprenditorialità e quindi spingendo verso la strada della aggregazione di impresa.
b) Altro obiettivo è quello di favorire chi opta per una politica di creazione di marchi da inserire sul mercato sempre attraverso la collaborazione di più imprese.
Chiaramente non si può pensare a una politica industriale di carattere locale senza tener conto dell'intero sistema Moda nazionale: occorre che ci sia una politica industriale condivisa da affrontare nel Tavolo nazionale sulla Moda.
Noi ribadiamo le nostre proposte.
Alcune più urgenti:
1) Finanziamento di un progetto di fattibilità per la sperimentazione di un marchio sociale della moda che assicuri ai consumatori la qualità sociale dei prodotti (ad esempio, senza l'impiego del lavoro minorile)
2) fiscalizzazione (parziale) degli oneri sociali per i lavoratori meno qualificati e retribuiti, anche per contenere al massimo la
delocalizzazione.
3) eliminare (o ridurre) la voce "costo del lavoro" dalla base di calcolo IRAP;
4) riduzione, almeno temporanea, dell'iva sui prodotti di settore, per stimolare i consumi;
5) avvio del Progetto interministeriale contro le frodi e le contraffazioni, a tutela dei Marchi e del Made in Italy
Altre proposte di medio periodo:
1 - Ripresa del confronto sulla tutela e l'etichettatura del Made in Italy, la obbligatorietà o meno dell'apposizione dell'etichettatura di origine, in raccordo con le discussioni in atto sia in sede Europea (Commissione UE) che internazionale (WTO) e la promozione delle produzioni interamente prodotte in Italia (Marchio di Filiera).
2 - Promozione di un Piano Nazionale di Formazione del Sistema Moda, volto alla qualificazione ed aggiornamento continuo delle risorse umane, quale capitale fondamentale e strategico per la competitività e l'occupabilità del futuro.
3 - Confronto sulle politiche del Commercio estero: sia dal punto di vista della promozione e conquista di nuovi mercati sia da quello degli Accordi Commerciali. In particolare va definita una sede di confronto che monitorizzi la gestione sia degli accordi in atto, sia delle nuove negoziazioni. Il Governo italiano in particolare dovrebbe sostenere l'inserimento della Clausola Sociale (incitativa e non protezionista) negli accordi bilaterali e vegliare sulla corretta applicazione di quelli esistenti, con particolare attenzione nel riguardo di quei paesi che più utilizzano sia il lavoro dei bambini che il lavoro forzato (regioni asiatiche).
4 - Ripresa del tema del "partenariato fra Distretti produttivi", attivando processi di sinergia fra sistemi produttivi territoriali del Nord e del Mezzogiorno.
Questi sono i punti principali sui quali la Filtea Cgil chiede il confronto con le parti istituzionali ed imprenditoriali per non arrendersi ad una crisi che sembra inarrestabile.
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