Modenapiù
Una Città e il Mondo: politica, cultura, economia, società a cura di Roberto Gazzotti.
giovedì, febbraio 27, 2003
====== MODENA ======
MINORI STRANIERI, IL PIANETA INVISIBILE
Una ricerca del Comune sui minori stranieri che clandestinamente entrano in Italia. Si stima siano più di 20 mila. Un fenomeno in crescita anche a Modena. Gli interventi dei servizi sociali e gli ostacoli della normativa
Tecnicamente si chiamano “minori non accompagnati sul territorio italiano”. Una sigla apparentemente neutra dietro alla quale si cela il drammatico fenomeno, in costante e allarmante espansione, fatto di ragazzini che, sempre più spesso anche al di sotto dei 14 anni, emigrano clandestinamente in Italia in cerca di “fortuna”. Nel nostro paese questi ragazzi sono sicuramente più di 20 mila e vengono per quasi il 50% dall’Albania (oltre 9000), poi da Marocco (circa 1800), Romania (circa 1200) e via via altri paesi segnati da forti migrazioni verso l’Italia.
A questi adolescenti, alle problematiche che il fenomeno si porta dietro, il Comune di Modena ha dedicato una ricerca che, oltre a tentare di fotografare la situazione, cerca anche di individuare risposte e percorsi dal punto di vista delle politiche sociali.
Modena scoprì i minori come protagonisti (e vittime) dell’ondata migratoria nel 1997, quando venne sgominato un racket che costringeva 32 ragazzi marocchini a fare i lavavetri agli incroci di giorno ed a vivere chiusi in porcilaie la notte. Agli arresti (i primi con l’accusa di riduzione in schiavitù) e all’azione repressiva, seguì l’attivazione da parte dei servizi sociali di percorsi di sostegno e aiuto. Percorsi cresciuti e affinati, anche con buoni risultati, ma che si sono scontrati con due problemi di sempre maggior consistenza negli ultimi mesi.
Il primo è quello della crescita quantitativa del fenomeno. I minori stranieri non accompagnati, in carico all’assessorato a Modena (ma il trend nazionale è identico), sono passati da 10-12 casi dei primi anni ’90, a 28-30 nel 2000. Nel 2001 l’impennata con 74 assistiti e ben 170 minori arrivati ai centri di prima accoglienza che diventano 180 nel 2002.
Un boom confermato anche dai dati nazionale del Cms (Comitato minori stranieri) con 50413 segnalazioni nel 2000 e ben 8250 segnalazioni nei primi 6 mesi del 2002. Dati che in proiezione evidenziano un raddoppio del fenomeno in due anni e una stima complessiva di circa 20.500 ragazzi stranieri presenti a novembre 2002, di cui una metà ancora minorenne e l’altra metà divenuta maggiorenne durante la presenza in Italia.
Il secondo grande problema che caratterizza la presenza dei minori non accompagnati, e di conseguenza il tipo di risposte che i servizi sociali possono dare, è legato alle normative presenti. Infatti sino alle circolari ministeriali del 2000 e del 2001, per i minori risultava “conveniente” affrontare il percorso di sostegno e inserimento coi servizi (anche se non garantiva reddito). Ciò in vista dell’ottenimento di un permesso di soggiorno al compimento dei 18 anni ed unito a percorsi formativi. Tale possibilità è però venuta meno per le nuove disposizioni del Ministero, col risultato di vanificare in molti casi ed interrompere i percorsi portati avanti dai servizi sociali stessi. Ora la legge Bossi-Fini lega la possibilità di rilasciare permessi di soggiorno ai ragazzi che diventano maggiorenni, solo nel caso abbiano seguito per tre anni un percorso di integrazione e formazione.
Risultato di queste scelte è che la disponibilità dei ragazzi a lavorare coi servizi sociali è in evidente calo. Si preferisce cioè un percorso di clandestinità a una prospettiva che non ha sbocchi di inserimento. L’indagine del Comune evidenzia poi come una delle conseguenze della Bossi-Fini sia quella di indurre a lasciare il proprio paese ragazzi sempre più giovani, al fine di poter completare i tre anni di percorso di inserimento prima della maggiore età.
“Il quadro di problemi che emerge dalla ricerca che abbiamo svolto spiega l’assessore alle politiche sociali del Comune di Modena Alberto Caldana è estremamente serio e complesso. C’è un fenomeno in espansione che le attuali norme rischiano di spingere sempre più in una zona d’ombra. Le attività ed i progetti di integrazione che Modena ha portato avanti, assieme a poche altre città italiane, oggi hanno bisogno di essere aggiornate, per capire in quale prospettiva collocarsi. C’è da lavorare su ciò che si fa qui, per dare risposta a un numero sempre maggiore di casi. Ma l’obiettivo di far tornare a casa i ragazzi, dando loro la prospettiva di un futuro, deve diventare la priorità e il punto di riferimento delle nostre politiche. Ma per far ciò, all’azione qui deve sempre più affiancarsi un’opera di prevenzione con interventi formativi e di sviluppo fatti nei paesi d’origine, a cominciare da Albania e Marocco. Ciò apre il tema del ruolo degli organismi nazionali che operano in questo campo, come il Cms, ma anche quello delle relazioni tra enti non governativi ed enti locali. E’ una sfida complessa e difficile, ma che intendiamo portare avanti con convinzione. Le decine di ragazzi che abbiamo aiutato in questi anni sono già un fatto significativo, ma occorre aumentare la capacità di aiuto, entro un progetto rivolto al futuro. E non è pensabile che anche verso ragazzini e adolescenti si pensi di far valere solo risposte repressive o di espulsione”.
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====== MONDO ======
“BASTA ALLA VIOLENZA SESSUALE NEI CONFRONTI DELLE DETENUTE!”
PRESENTATO UN NUOVO RAPPORTO
DI AMNESTY INTERNATIONAL SULLA TURCHIA
Istanbul Le donne che si trovano in stato di detenzione in Turchia rischiano la violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza: e’ questa la denuncia lanciata da Amnesty International in occasione della presentazione del rapporto Basta alla violenza sessuale nei confronti delle detenute!
Secondo il rapporto, donne di ogni origine sociale e culturale sono sottoposte ad abusi, aggressioni e stupri durante la detenzione. Particolarmente a rischio sono le donne curde e coloro che hanno idee politiche inaccettabili dal punto di vista delle autorita’ o dell’esercito.
Il rapporto di Amnesty International si basa su ricerche condotte nel corso del 2002 e su due visite compiute in Turchia a giugno e settembre dello stesso anno. L’organizzazione sottolinea che, dopo la stesura del rapporto, il governo in carica e’ cambiato.
“Le conclusioni del rapporto rappresentano una sfida per il governo, che deve trasformare in realta’ le proprie dichiarazioni di intenti sui diritti umani” ha dichiarato Patrizia Carrera, responsabile del coordinamento Europa occidentale della Sezione Italiana di Amnesty International. “Il nuovo governo non deve proseguire sulla strada del precedente, ma prendere misure concrete per risolvere il problema della violenza sessuale nei confronti delle donne”.
Le donne che hanno subito violenza sessuale riescono con estrema difficolta’ a parlare e a ottenere giustizia: l’ostracismo nei loro confronti, la discriminazione da parte della societa’ e il concetto di “onore” costringono al silenzio molte di esse.
Quando gli autori della violenza sessuale sono rappresentanti dello Stato, il loro comportamento rafforza quella cultura della violenza e della discriminazione che pone tutte le donne in pericolo. Amnesty International teme che essi ricorrano alla tortura, sotto forma di stupri e aggressioni sessuali, sapendo che le sopravvissute difficilmente vorranno denunciare l’accaduto.
Secondo le denunce ricevute da Amnesty International, le detenute vengono spesso denudate da agenti di sesso maschile durante gli interrogatori che si svolgono nelle stazioni di polizia o in prigione. In questa situazione le donne rischiano fortemente di subire violenze e umiliazioni.
Le detenute vengono anche costrette a sottoporsi a “test della verginita’”, allo scopo di punirle ed umiliarle. Le conseguenze di questi test su molte donne esaminate e il cui imene risulta non piu’ integro, sono devastanti: violenze, umiliazioni e in alcuni casi la morte. La semplice minaccia di un test puo’ essere sufficiente a provocare traumi psicologici; il rifiuto di un test puo’ essere considerato come una “offesa all’onore” ed essere causa di ulteriori abusi sessuali.
Amnesty International e’ a conoscenza di casi di donne sottoposte a violenza sessuale di fronte ai propri mariti o familiari per costringere questi ultimi a “confessare” o, strumentalizzando il concetto di “onore”, per ledere la reputazione della famiglia o della comunita’ di origine della vittima.
Dopo aver intervistato oltre cento detenute a Diyarbakir, Mus, Mardin, Batman e Midyat, la Commissione delle avvocate di Diyarbakir ha concluso che praticamente tutte le donne erano state sottoposte a “test della verginita’” e che quasi tutte avevano subi’to abusi sessuali, sia verbali che fisici, mentre si trovavano in custodia della polizia.
“Allo stupro e alla violenza sessuale si aggiunge l’assenza di protezione e di risarcimenti nei confronti delle vittime” ha affermato Carrera.
Le donne che hanno subito violenza sessuale devono spesso fare i conti con un diffuso ostracismo. Altre sono costrette a lasciare le proprie case, con o senza la famiglia. Molte, spesso, non denunciano l’accaduto perche’ ritengono che gli autori non saranno puniti.
Coloro che denunciano le violenze sessuali commesse da rappresentanti dello Stato rischiano di subire ulteriori abusi, azioni legali, minacce ed arresti. Le avvocate che le rappresentano, a loro volta, vengono perseguitate dalle autorita’, dai mezzi d’informazione e dai propri colleghi.
Ottenere un risarcimento e’ particolarmente difficile nei casi in cui gli autori della violenza sessuale siano rappresentanti dello Stato, tanto per la scarsita’ delle inchieste quanto a causa di una legislazione assai protettiva nei confronti dei pubblici ufficiali sotto inchiesta. Secondo la legge, trascorso un certo periodo di tempo dal compimento di un reato, una persona indagata non puo’ piu’ essere condannata: diversi procedimenti, nei confronti di poliziotti accusati di tortura, sono terminati in quanto gli imputati non si sono presentati alle udienze, i loro avvocati hanno rimesso il mandato oppure non hanno fornito le prove richieste entro i termini stabiliti.
“I rinvii nei procedimenti non solo ritardano la giustizia ma fanno si’ che gli autori della violenza sessuale, alla giustizia, non siano proprio chiamati a rispondere” ha sottolineato Carrera.
La discriminazione nei confronti delle donne e la violenza sessuale sono fenomeni correlati. Quando un rappresentante dello Stato assume un comportamento discriminatorio, non solo dimostra di non voler rispettare i diritti delle donne ma contribuisce anche a perpetuare una cultura della violenza nei confronti di tutte le donne.
“Commettere violenza contro le donne, da parte di chi rappresenta le istituzioni dello Stato, significa trasmettere un chiaro messaggio di indulgenza verso atti di violenza in ogni settore - nelle istituzioni, all’interno della famiglia, nei rapporti individuali e mettere in pericolo ogni donna. Questa situazione non puo’ rimanere cosi’!” ha concluso Carrera.
Amnesty International chiede al governo turco di intraprendere profonde riforme per porre fine alla violenza sessuale nei confronti delle donne, tra cui:
- porre fine alla prassi di bendare e denudare le detenute durante gli interrogatori;
- porre fine alle perquisizioni corporali delle detenute da parte di personale maschile;
- vietare l’uso delle bende intorno agli occhi nelle stazioni di polizia;
- portare di fronte alla giustizia coloro che compiono e che ordinano le violazioni dei diritti umani.
Il rapporto Basta alla violenza sessuale nei confronti delle detenute! e’ disponibile
presso il sito Internet di Amnesty International all’indirizzo: www.amnesty.org
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“RILASCIARE IMMEDIATAMENTE I PRIGIONIERI DI COSCIENZA”:
RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SU CUBA
Amnesty International ha diffuso oggi un rapporto in cui chiede l’immediato e incondizionato rilascio dei prigionieri di coscienza cubani, detenuti solamente per l’esercizio pacifico delle liberta’ fondamentali.
“A tutti i cittadini di Cuba dev’essere garantito il diritto alla liberta’ di associazione, riunione ed espressione. Siamo estremamente preoccupati per gli arresti di massa che hanno avuto luogo a febbraio e a dicembre del 2002 e soprattutto per il fatto che molti degli arrestati sono tuttora in carcere, talora senza imputazione. Nella maggior parte dei casi, si tratta di persone imprigionate per aver esercitato il proprio diritto alla liberta’ d’espressione, associazione o riunione e che pertanto consideriamo prigionieri di coscienza” - ha affermato Amnesty International.
Amnesty International ha chiesto alle autorita’ cubane di porre fine alla prassi di arrestare le persone impegnate in pacifiche attivita’ di dissenso e di rivedere le leggi che limitano le liberta’ fondamentali in violazione degli standard internazionali in materia di diritti umani.
Tutte le informazioni sulle persone arrestate sono contenute nel rapporto Cuba: continued detentions following mass arrest in February and December 2002, disponibile su www.amnesty.org
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