mercoledì, febbraio 12, 2003

NAZIONI UNITE/IRAQ:
IL CONSIGLIO DI SICUREZZA
HA PAURA DI AFFRONTARE I COSTI UMANI
DEL CONFLITTO IN IRAQ



“Il Consiglio di Sicurezza ha paura di affrontare i costi umani del conflitto in Iraq?” ­
ha chiesto oggi Irene Khan, Segretaria Generale di Amnesty International.
“Il Consiglio di Sicurezza deve dare alta priorita’ alle conseguenze della guerra per la
situazione umanitaria e per i diritti umani. Quando si parla di una guerra contro un
paese la cui popolazione sta soffrendo a causa delle gravi violazioni dei diritti umani
commesse dal proprio governo e di oltre dieci anni di sanzioni, la necessita’ di una
valutazione del genere diventa ancora piu’ importante” ­ ha aggiunto Irene Khan.
Alla fine della settimana scorsa, Amnesty International ha scritto al presidente del
Consiglio di Sicurezza esprimendo il timore che il probabile impatto sui civili di una
possibile azione militare contro l’Iraq non stia ricevendo l’attenzione che merita;
l’argomento dovrebbe essere invece esaminato in una sessione aperta, alla presenza
di tutti i membri delle Nazioni Unite.
Amnesty International ha manifestato apprezzamento per la decisione del Sudafrica
di richiedere tale dibattito: una richiesta, ha sottolineato l’organizzazione per i diritti
umani, che “e’ indispensabile che il presidente del Consiglio di Sicurezza accolga. E’
urgentemente necessario che il Consiglio di Sicurezza dibatta in maniera esauriente,
informata ed aperta, sulle conseguenze, per la situazione umanitaria e dei diritti
umani, di un’azione militare. Se il Consiglio di Sicurezza intende adempiere in modo
adeguato alle responsabilita’ derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, tali
conseguenze dovranno essere attentamente analizzate e messe a confronto con la
minaccia che l’Iraq si ritiene costituisca per la pace e la sicurezza”.
Amnesty International inoltre teme profondamente che l’attuale situazione dei diritti
umani in Iraq possa peggiorare in caso di un’azione militare. In particolare, vi e’ il
rischio di rinnovati abusi da parte delle autorita’ irachene, dei gruppi armati di
opposizione e di altre parti coinvolte nelle operazioni militari, nonche’ quello di
rappresaglie per motivi etnici o di altra natura. Vi e’ dunque la necessita’ di verificare
da vicino, avvalendosi anche della consulenza di esperti, la situazione dei diritti
umani in Iraq. “Purtroppo, le preoccupazioni per i diritti umani in un contesto del
genere non sono state prese in esame dal Consiglio di Sicurezza”, ha denunciato
Irene Khan.
“La presenza di osservatori sui diritti umani apporterebbe un significativo contributo
alla protezione dei diritti umani, non solo nelle attuali circostanze, ma anche in ogni
futuro scenario”, ha aggiunto la Segretaria Generale di Amnesty. “Il loro mandato
dovrebbe riguardare gli abusi dei diritti umani commessi da ogni parte in territorio
iracheno e i loro rapporti dovrebbero fornire al sistema delle Nazioni Unite
informazioni autorevoli sulla situazione dei diritti umani e indicazioni sui rimedi
necessari”.
Amnesty International e’ conscia del fatto che le Nazioni Unite stanno valutando i
rischi umanitari di un conflitto in Iraq. “Il Segretario Generale Kofi Annan ha
intenzione di discutere l’impatto umano di un conflitto in Iraq in un incontro informale
del Consiglio di Sicurezza, ma questo e’ un argomento troppo importante per poterlo
esaminare a porte chiuse. Ci vuole un dibattito formale, aperto e trasparente.” ­ ha
precisato Khan.
Da oggi i soci di Amnesty International nel mondo si mobilitano per esercitare
pressione sul Consiglio di Sicurezza affinche’ venga svolto un dibattito esauriente
all’interno delle Nazioni Unite.
Amnesty International ha inoltre invitato il Consiglio di Sicurezza a chiedere al
Segretario Generale una relazione pubblica e urgente sull’impatto di una azione
militare sulla popolazione civile dell’Iraq e di altri paesi.
In modo particolare, l’organizzazione per i diritti umani chiede al Consiglio di
Sicurezza di esaminare:
(a) i probabili effetti di un’azione militare sulla complessiva situazione umanitaria e dei
diritti umani della popolazione irachena, gia’ esposta a gravi violazioni ad opera del
suo governo ed agli effetti delle sanzioni economiche, specialmente in caso di gravi
interruzioni nella distribuzione del cibo e di danni alle infrastrutture essenziali;
(b) il rischio che l’azione militare possa provocare una crisi di spostamenti di massa
simile a quella del 1991, con la necessita’ di assicurare l’apertura dei confini e la
solidarieta’ internazionale per fornire efficace protezione ed assistenza ai rifugiati e
agli sfollati interni;
(c) il rischio di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, tra cui attacchi
contro civili, uso di scudi umani, attacchi indiscriminati e attacchi contro obiettivi civili.
E’ inoltre necessario valutare l’impatto del possibile uso di armi chimiche, biologiche e
nucleari - armi di per se’ indiscriminate.
(d) i modi per assicurare l’immediato invio di osservatori sui diritti umani, secondo
quanto richiesto dalla risoluzione 57/232 approvata dall’Assemblea Generale lo
scorso dicembre.
Amnesty International ha apprezzato e sostenuto le iniziative assunte negli ultimi anni
dal Consiglio di Sicurezza, in cui si e’ sottolineata l’importanza di garantire la
massima protezione dei civili nelle situazioni di conflitto armato e di assicurare che i
responsabili degli abusi siano chiamati a risponderne, come espresso nelle risoluzioni
1265 (1999), 1296 (2000) e 1460 (2003).
“Chiedo al Consiglio di Sicurezza di applicare alla situazione irachena, adesso, gli
standard che ha elaborato” ­ ha concluso Irene Khan.


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12 FEBBRAIO: ANNIVERSARIO DEL TRATTATO ONU
SUI BAMBINI SOLDATO
I BAMBINI NON DEVONO COMBATTERE
LE GUERRE DEGLI ADULTI



Alla vigilia del primo anniversario dell’entrata in vigore del trattato
internazionale che vieta l’utilizzo dei bambini soldato, la Coalizione
“Stop all’uso dei bambini soldato!” ammonisce che il problema
dell’impiego dei bambini nei conflitti armati, lungi dall’essere risolto,
e’ ancora molto diffuso.
“I minori continuano ad essere impegnati nei conflitti non solo come
soldati, ma anche come facchini, vedette, schiavi sessuali. Il
problema non sta diminuendo e in ogni nuovo conflitto i bambini
rischiano di essere coinvolti nelle ostilità” - ha dichiarato Casey
Kelso, coordinatore della Coalizione “Stop all’uso dei bambini
soldato!”. La Coalizione esorta la comunità internazionale a non
trascurare il problema dei bambini soldato confidando che gli Stati
rispettino il divieto ora sancito dal diritto internazionale.
Sebbene 111 paesi abbiano ora siglato il “trattato sui ‘bambini
soldato” riconoscendo che reclutare con la forza i bambini in un
conflitto e’ sbagliato, solo 46 paesi si sono attualmente impegnati
legalmente per ratificare il Protocollo opzionale. “Il primo
anniversario del Protocollo opzionale non deve essere una
celebrazione, ma un’occasione per appellarsi agli altri paesi affinche’
si uniscano alla comunità internazionale nel condannare questa
pratica spaventosa” - ha aggiunto Davide Cavazza, coordinatore
della Coalizione Italiana “Stop all’uso dei bambini soldato!”.
In Myanmar circa 70.000 bambini sono impiegati negli eserciti
regolari ­ molti sono costretti con la forza mediante rapimento o
sotto minaccia di carcerazione dall’età di 11 anni. In Colombia la
Coalizione stima che vi siano 14.000 bambini soldato ­ ragazzi e
ragazze anche di 10 anni ­ reclutati nei gruppi armati paramilitari e
nelle milizie. In Nepal alcune fonti indicano che il 30% dei
combattenti del Partito comunista del Nepal sia rappresentato da
bambini e il numero aumenta di mese in mese. In Iraq, sin dal 1991,
almeno 23.000 minori, di età compresa tra i 12 e i 17 anni, sono stati
oggetto di programmi di addestramento militare da parte
dell’esercito, con il nome di “Gioventù di Saddam”.
Nel dicembre 2002, il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi
Annan ha presentato al Consiglio di Sicurezza un rapporto che
identifica 23 parti in conflitto in 5 paesi che utilizzano bambini
soldato: Afghanistan, Somalia, Burundi, Repubblica Democratica del
Congo e Liberia. In questi ultimi tre paesi, oltre ai gruppi di
opposizione, anche le forze governative hanno fatto ricorso ai
bambini soldato.
Alla fine di gennaio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha
adottato una nuova risoluzione sui bambini e i conflitti armati
appellandosi al segretario generale affinche’ includa informazioni
sulla protezione dei bambini in ogni suo rapporto su paesi specifici.
“E’ essenziale che il Consiglio di Sicurezza si impegni ad assumere
la responsabilità di adottare misure appropriate contro coloro che
utilizzano o reclutano bambini soldato” ha affermato Kelso.

Ulteriori informazioni

La Coalizione Internazionale “Stop all’uso dei bambini soldato!” e’
nata nel 1998. Fra i suoi soci fondatori figurano Amnesty
International, Human Rights Watch, Jesuit Refugee Service, Quaker
United Nations Office ­ Ginevra, Rädda Barnen per International
Save the Children Alliance, Terre des Hommes. Successivamente
Defence for Children International, World Vision International e
numerose ONG regionali in America Latina, Africa e Asia si sono
unite alla Coalizione.
Della Coalizione Italiana “Stop all'uso dei bambini soldato!”, nata il 19
aprile 1999, fanno parte Amnesty International, Unicef-Comitato
Italiano, Società degli Amici-Quaccheri, COCIS, Terre des Hommes-
Italia, Jesuit Refugee Service-Centro Astalli, Coopi-Cooperazione
Internazionale, Volontari nel mondo-FOCSIV, Telefono Azzurro,
Alisei, Save the Children-Italia, Intersos.

Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste:
Coalizione Italiana "Stop all'uso dei bambini soldato!" Sito Internet:
www.bambinisoldato.it E-mail: coalizione.bambini@amnesty.it

Coalizione Internazionale "Stop all’uso dei bambini soldato"
Sito Internet: www.child-soldiers.org


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