mercoledì, novembre 27, 2002


====== MODENA ======



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I CAMBIAMENTI STRUTTURALI E LE PROSPETTIVE
DEL SETTORE DELLA MODA IN EMILIA ROMAGNA

Durante il convegno promosso dalla Filtea-Cgil Emilia Romagna a Bologna il 15 novembre è stata presentata la seguente relazione di Daniela Bigarelli.




ANALISI DEL SETTORE TESSILE – ABBIGLIAMENTO IN EMILIA ROMAGNA

Nell’ambito dell'industria italiana dell’abbigliamento l’Emilia Romagna occupa una posizione di rilievo. L’Emilia Romagna rappresenta la terza regione per numero di imprese (con il 13% delle aziende sul totale nazionale), occupati (11%), e valore delle esportazioni (15%), dopo Lombardia e Veneto.
In Emilia Romagna il tessile abbigliamento conta circa 8mila imprese e 50mila occupati. E' il terzo settore manifatturiero della regione per numero di addetti, dopo il metalmeccanico e l'alimentare, ed il terzo settore per valore delle esportazioni, dopo il metalmeccanico e il settore ceramico. Ha un ruolo importante nel mercato del lavoro regionale, occupando per il 70% forza lavoro femminile.

I caratteri strutturali

L'Emilia Romagna rappresenta un caso interessante di convivenza di modelli produttivi diversi, molto ben caratterizzati sul piano territoriale.
In Emilia Romagna sono presenti imprese di dimensioni medio-grandi, con marchi di prestigio riconosciuti dai consumatori, localizzate prevalentemente nelle province di Reggio Emilia, Bologna e Rimini/Forlì.
E’ presente una forte concentrazione di occupati nella provincia di Modena (pari al 40% degli addetti della regione), la cui struttura produttiva è influenzata dalla presenza del distretto di Carpi, specializzato nella produzione di maglieria e formato prevalentemente da imprese di piccole e medie dimensioni.

I cambiamenti avvenuti

Le aziende hanno registrato le seguenti tendenze:
· la diversificazione delle aree di decentramento;
· il posizionamento su segmenti medio-alti del mercato;
· la crescita delle esportazioni e la sperimentazione di nuovi canali distributivi.



1. La diversificazione delle aree di decentramento

Le scelte produttive effettuate dalle imprese emiliane sono le seguenti:
- le produzioni realizzate a livello locale (44,5%) (per prodotti di elevata qualità, piccole serie, produzioni veloci come il pronto moda);
- di produzioni decentrate in Italia (43,6%), prevalentemente in aree a maggiore disponibilità di manodopera e minor costo (per prodotti di media ed elevata qualità);
- di produzioni decentrate all'estero (12%), prevalentemente nei paesi dell'Est Europeo (per prodotti di fascia media, relativamente standardizzati e in serie medio-lunga).

Gli occupati interni alla regione sono:
- imprese finali (22618 addetti, pari al 48% del totale) e imprese di subfornitura (24520 addetti, pari al 52% del totale).
- A questi vanno tuttavia aggiunti altri 25000 addetti che operano in imprese di subfornitura localizzate in altre regioni italiane o all'estero e che lavorano per aziende finali della regione.

2. Il posizionamento su segmenti medio-alti del mercato

Le strategie seguite dalle aziende hanno visto un progressivo e continuo processo di qualificazione del prodotto (in termini di qualità intrinseca, stile e contenuto moda), capace di determinare un complessivo riposizionamento del settore su fasce di mercato più elevate.
Il campionario annuale dell'industria dell'abbigliamento emiliana quasi raddoppia nel decennio, da 273mila a 425mila diversi modelli. A livello di singola impresa finale il campionario annuale passa in media da 188 a 296 modelli.
L'Emilia Romagna aumenta il proprio peso sul valore dell'export italiano di maglieria e confezioni dal 12% del 1990 al 15% del 1999 , passando da quarta a terza regione per importanza nelle esportazioni italiane di questi prodotti.

3. La crescita delle esportazioni e la sperimentazione di nuovi canali distributivi

I dati relativi alle esportazioni regionali sono:
- Modena dal 49% del 1990 al 30% del 2001;
- Reggio Emilia (dal 19% al 27%);
- Forlì/Rimini (dal 10% al 17%);
- Bologna (dal 16% al 18%)

I dati incrementano la crescita delle esportazioni dell’Emilia Romagna anche all’interno dell’export nazionale. La maggiore crescita delle esportazioni vede quindi come protagoniste le aziende di dimensioni medio-grandi che operano attraverso marchi di prestigio, riconosciuti dai consumatori, e che nei confronti del sistema distributivo detengono un elevato potere contrattuale.


Le prospettive del settore

L'industria dell'abbigliamento emiliana rientra pienamente nel cosiddetto Made in Italy e full Made in Italy, avendo il baricentro della produzione in Italia. Le piccole e medie imprese che operano per i mercati finali e l'intera filiera produttiva ad esse collegata trarrebbe forti vantaggi dalla istituzione di questo marchio.
I suoi punti di forza sono riconducibili alla capacità di ideare e creare prodotti sempre nuovi, in linea con le tendenze della moda; di garantire una elevata qualità del prodotto; di offrire una gamma molto ampia di modelli.
Questi aspetti si fondano sulla diffusa capacità creativa e di innovazione che caratterizza le imprese finali della regione, ma anche sui saperi tecnico-produttivi sedimentati e radicati nella subfornitura locale.
E' attraverso la cooperazione fra questi due tipi di imprese che l'industria dell'abbigliamento dell'Emilia Romagna ha costruito e mantenuto nel tempo la propria capacità competitiva.
Le prospettive di questo settore non evocano l'immagine spesso stereotipata attribuita all'industria della moda attraverso le definizioni di settore maturo, tradizionale o in declino.
L'industria dell'abbigliamento dell'Emilia Romagna è competitiva e vitale; ha un ruolo importante nell'export regionale e nazionale; racchiude saperi creativi e tecnici di elevato profilo; offre interessanti opportunità di lavoro.
Al pari di altri settori dell'industria regionale, essa è caratterizzata da un forte intreccio fra innovazione e tradizione; fra immagine, stile e abilità artigiana; fra mercato globale e radicamento locale.
La fase di trasformazione nella quale si trova inserita fa prevedere la continuazione del processo di selezione avvenuto negli anni novanta, ma le strategie seguite dalle imprese emiliane, se sostenute da politiche e azioni mirate, possono consentire il mantenimento dei vantaggi competitivi conseguiti e del ruolo ricoperto dall'Emilia Romagna nel settore Tessile Abbigliamento italiano.


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“LA CREATIVITÀ MUSICALE GIOVANILE COME RISORSA”
UNA NUOVA RICERCA DELL’ASSOCIAZIONE MARIO DEL MONTE



Mercoledì 27 novembre (ore 17.00), presso l’Aula 2 della Facoltà di Economia (via Berengario 51, Modena), verrà presentata la ricerca “ La creatività musicale giovanile come risorsa”, promossa dall’Associazione “Mario Del Monte”.
Presenteranno l’indagine gli autori: Alberto Cottica, musicista ed economista e Tommaso Fabbri, della Facoltà di Economia.
Interverranno anche: i musicisti della scena modenese; Andrea Landi, preside della Facoltà di Economia; Gianni Cottafavi, assessore alla Cultura del Comune di Modena; Fabio Mosca, presidente dell’ARCI di Modena. L’ARCI ha contribuito alla stampa del Quaderno con i risultati dell’indagine, in distribuzione ai partecipanti all’incontro.
Dall’indagine realizzata nell’arco di tempo di un anno (fine 2001-settembre 2002), esce una fotografia aggiornata delle motivazioni e delle aspettative delle bands musicali giovanili. Nelle cantine, nei garage, dove c’è spazio, ci sono ragazzi che fanno musica. Ma chi sono, cosa fanno, dove vogliono arrivare i protagonisti della scena musicale modenese?
I dati raccolti nella prima parte della ricerca testimoniano l’esistenza nella nostra provincia di un’energia creativa giovanile forte e determinata. I 37 gruppi intervistati sui 126 rilevati dal Centro Musica del Comune di Modena, equamente ripartiti tra città e provincia, per un terzo nascono negli ultimi due anni, mentre un’esigua minoranza svolge attività da una decina d’anni. I componenti dei gruppi hanno un’età media di 26 anni e sono quasi esclusivamente maschili; i due terzi hanno raggiunto la licenza di scuola superiore; l’attività musicale non è mai a tempo pieno, rispetto a quella fondamentale dello studio o del lavoro. Più di un terzo è musicalmente autodidatta, quasi la metà ha preso lezioni private e lo strumento principe delle formazioni di musica (rock) è la chitarra; luoghi centrali d’incontro, la sala prove, di cui viene lamentata la insufficienza.
La seconda parte della ricerca propone una lettura delle dinamiche, delle iniziative autonome e delle politiche per la musica sviluppate nella metropoli inglese di Manchester, a partire dalla seconda metà degli anni settanta.
Obiettivo: “studiare Manchester per cercare di enucleare gli elementi di successo, le cose che hanno funzionato nel promuovere una scena musicale vibrante e di importanza internazionale; e…cercare, a Modena, alcune condizioni di base da confrontare con quelle presenti a Manchester all’inizio del processo”.
Ancora, dall’indagine su Manchester emergono linee di proposta di un modello della decisione politica, dove “risultati e riorganizzazione vengono immaginati, perseguiti e ottenuti a partire da una situazione iniziale in cui né gli uni né gli altri erano stati assunti come obiettivi”. E dove “le politiche pubbliche si connotano come tali non tanto perché sono di competenza delle pubbliche autorità, ma piuttosto perché sono un ‘affare’ propriamente e pubblicamente distribuito”.
La ricerca suggerisce di applicare queste politiche alle bands modenesi, interessandosene, ascoltandole e cercando di capirle davvero prima di decidere, per aiutarne lo sviluppo. Una opzione in grado di “sollevare una piccola onda”, come avviene nella pratica del surf, dove “chi è in grado di cavalcare onde piccole non sarà colto del tutto impreparato quando si tratterà di affrontare quelle grandi”.



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LICOM: CONTRARI ALLE APERTURE DOMENICALI
DEL CENTRO STORICO ASSIEME AGLI IPERMERCATI


Scrive Silvia Manicardi, presidente Licom: «Stiamo ripetendo, da mesi, nel “Tavolo sugli Orari” costituto presso il Comune di Modena, che non ci importa che il centro apra, quando aprono di domenica gli ipermercati. La ragione è semplice: - se si promuove il Centro, e si cerca di incoraggiare a venirci anche chi ha perso l’abitudine di farlo, è bene che ciò avvenga quando le alternative sono al minimo. Non ha senso che siano i commercianti, attraverso la loro rappresentanza, a chiedere, che nel giorno in cui sacrificano la festività loro ed il riposo delle loro famiglie, sia aperta anche la concorrenza. Questo fatto, se si unisce al perdurante stillicidio delle “Targhe Alterne” che penalizza il Centro e non gli ipermercati, è assolutamente autolesionista. Licom perdurerà nella posizione di chiedere aperture domenicali sfalsate fra ipermercati e Centro Storico».



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