lunedì, novembre 04, 2002

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ISRAELE / TERRITORI OCCUPATI
“INDAGARE SUI CRIMINI DI GUERRA
DELLE FORZE DI DIFESA ISRAELIANE”,
CHIEDE AMNESTY INTERNATIONAL



Gerusalemme, 4 novembre 2002 ­ In occasione del
lancio di un rapporto sulla condotta delle Forze di
difesa israeliane (Idf) a Jenin e Nablus tra marzo e
aprile di quest’anno, Amnesty International ha
dichiarato che alcuni degli atti commessi dalle Idf nel
corso dell’operazione “Muro difensivo” sono crimini di
guerra.
Il rapporto, intitolato Israele e Territori Occupati: al
riparo dal controllo ­ violazioni delle Forze di difesa
israeliane a Jenin e Nablus, denuncia gravi violazioni
dei diritti umani ad opera delle Idf: uccisioni illegali,
torture e maltrattamenti ai danni dei prigionieri,
distruzioni indiscriminate di centinaia di abitazioni -
talvolta con i residenti all’interno ­ blocco delle
ambulanze, rifiuto di assistenza umanitaria ed uso di
civili palestinesi come “scudi umani”.
Dopo un incontro avuto a maggio per esaminare le
loro azioni e strategie, Amnesty International ha
sottoposto alle Idf la maggior parte dei casi descritti
nel rapporto, chiedendo loro un commento. Tuttavia,
nonostante le promesse ricevute, l’organizzazione per
i diritti umani non ha ottenuto alcuna replica.
Israele ha il diritto di prendere misure per prevenire la
violenza illegale ma, nel fare cio’, non deve violare il
diritto internazionale. A Jenin e Nablus, le Idf hanno
impedito per giorni l’ingresso delle ambulanze, degli
aiuti umanitari e del mondo esterno mentre i morti e i
feriti giacevano nelle strade e all’interno delle case. A
Jenin, un’intera zona residenziale del campo profughi
e’ stata demolita, lasciando senza casa 4000 persone.
“Finora le autorita’ israeliane sono venute meno alla
loro responsabilita’ di sottoporre alla giustizia i
responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. I
crimini di guerra sono tra i piu’ gravi crimini previsti
dal diritto internazionale e rappresentano un’offesa
nei confronti dell’umanita’ intera. Consegnare alla
giustizia gli autori di questi crimini e’ dunque
interesse e responsabilita’ della comunita’
internazionale. Tutti gli Stati che aderiscono alle
Convenzioni di Ginevra devono ricercare le persone
sospettate di aver commesso gravi violazioni delle
Convenzioni e portarle di fronte alla giustizia” ­ ha
dichiarato Amnesty International.
“Non ci sara’ pace e non ci sara’ sicurezza nella
regione fino a quando i diritti umani non verranno
rispettati. Ogni tentativo di porre fine alle violazioni
dei diritti umani ed istituire un sistema di protezione
internazionale in Israele e nei Territori Occupati, in
particolare impiegando osservatori con un preciso
mandato sui diritti umani, e’ stato reso vano dal
rifiuto del governo di Israele. Questo rifiuto e’ stato
appoggiato dagli Stati Uniti. La comunita’
internazionale deve cessare di assistere passivamente
alle gravi violazioni dei diritti umani che hanno luogo
in Israele e nei Territori Occupati. C’e’ bisogno, da
lungo tempo, di un’azione significativa, urgente ed
appropriata”.


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Sintesi dei contenuti del rapporto
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Uccisioni illegali

“Erano circa le 3 di pomeriggio del 5 aprile, la mia
famiglia si trovava in casa. Abbiamo sentito bussare e
chiedere di aprire la porta. Mia sorella ‘Afar ha
risposto di attendere un momento. Ha appoggiato la
mano sulla maniglia e la porta le e’ esplosa in faccia.
La parte destra del volto non c’era piu’. Penso che
dev’essere morta all’istante. Abbiamo gridato. I
soldati erano fuori dalla porta. Hanno iniziato a
sparare contro le pareti come per spaventarci.
Abbiamo urlato loro di chiamare un’ambulanza ma
non ci hanno risposto”.


“Ho visto un grande bulldozer arrivare dal lato sinistro
e distruggere la casa della famiglia al-Shu’bi. La casa
si e’ sbriciolata. Senza pensarci un attimo, ho urlato
al soldato del bulldozer di lasciar uscire chi si trovava
dentro. Lui si e’ affacciato dal bulldozer e ha iniziato a
sparare nella mia direzione”.

Per sei giorni, dieci membri della famiglia al-Shu’bi sono rimaste sepolte
sotto la loro abitazione: solo due di essi sono
sopravvissute.

Questi sono soltanto due dei molti casi, documentati
da Amnesty International a Jenin e Nablus, in cui
persone sono rimaste ferite o sono morte in
circostanze che fanno pensare a uccisioni illegali.
Palestinesi che non prendevano parte ai
combattimenti sono stati uccisi a seguito dell’uso
sproporzionato della forza e della mancata adozione,
da parte delle Idf, di misure idonee a proteggerli.

Nel campo profughi e nella citta’ di Jenin, piu’ della
meta’ dei 54 palestinesi morti nell’incursione che ha
avuto luogo tra il 3 e il 17 aprile, sono risultati
estranei agli scontri: tra questi, sette donne, quattro
bambini e sei uomini di eta’ superiore ai 55 anni. Sei
persone sono rimaste sepolte sotto le loro abitazioni.
A Nablus, tra il 29 marzo e il 22 aprile, le Idf hanno
ucciso almeno 80 palestinesi, tra cui sette donne e
nove bambini.


Nessuna di queste uccisioni e’ stata sottoposta a
indagine imparziale ed esauriente, anche se vi sono
forti ragioni per ritenere che si sia trattato di uccisioni
illegali. Questo atteggiamento da parte delle autorita’
israeliane ha contribuito a creare un clima grazie al
quale alcuni elementi delle Idf ­ consapevoli di poter
agire impunemente ­ continuano a compiere uccisioni
illegali.


L’uso dei palestinesi
nelle operazioni militari
o come
“scudi umani”


“Siamo entrati nella casa del mio vicino. I soldati
hanno fatto un buco nel muro e io, tre soldati e un
cane siamo passati dall’altra parte. Un soldato mi
teneva la pistola puntata alla testa. Questo e’
accaduto sei o sette volte. Ogni volta, quando
passavamo da una casa all’altra, i soldati mi
mandavano avanti. L’ultima volta ho chiuso la porta
dietro di me e, appena mi sono allontanato, ho
sentito degli spari. I soldati mi hanno spinto via e
hanno iniziato a rispondere al fuoco. Ero un metro
dietro di loro”.


Sia a Jenin che a Nablus, le Idf hanno
sistematicamente costretto i palestinesi, sia uomini
che donne, a prendere parte alle operazioni militari o
ad agire come “scudi umani”. Di solito le Idf
trattenevano un palestinese per vari giorni e lo
obbligavano a ispezionare gli edifici, ponendo a serio
rischio la sua incolumita’.

Torture ed altri trattamenti crudeli inumani e
degradanti nel corso di detenzioni arbitrarie


“Hanno iniziato a picchiarci sul corpo e sul petto col
calcio dei fucili. Eravamo tutti in mutande. Faceva
freddo. Quando abbiamo chiesto delle coperte, ci
hanno picchiati. Ci hanno lasciato senza acqua”.


A Jenin, numerosi uomini sono stati separati da
donne, bambini e persone di eta’ superiore a 55 anni,
radunati, spogliati fino a rimanere in mutande,
bendati e ammanettati. Molti hanno affermato di
essere stati picchiati. Un detenuto e’ morto a causa
delle percosse subite.

A Nablus e’ stato verificato un sistema analogo di
torture e maltrattamenti ai danni di persone arrestate
durante rastrellamenti di massa. Subito dopo
l’arresto, i detenuti sono stati portati al centro di
detenzione temporaneo di Shomron. Le percosse
sono avvenute sia durante che dopo l’arresto. Il
centro di Shomron era sovraffollato e i prigionieri
avevano poca acqua, poco cibo e veniva loro talvolta
impedito di utilizzare i servizi igienici.

Il blocco dell’assistenza medica e umanitaria

Il 5 aprile ‘Atiya Hassan Abu Irmaila, 44 anni, e’ stato
colpito al capo da una pallottola esplosa da un soldato
delle Idf, mentre si trovava nella sua abitazione. I
disperati tentativi dei familiari di chiamare
un’ambulanza non hanno avuto esito. Essi non hanno
neanche potuto spostarsi per comunicare ai parenti
del suo decesso. Il corpo e’ rimasto nell’abitazione per
sette giorni.

Suna Hafez Sabreh, 35 anni, e’ stata gravemente
ferita a colpi di arma da fuoco il 7 aprile, mentre stava
chiudendo la porta della sua abitazione. La famiglia ha
chiamato un’ambulanza, che pero’ non ha potuto
arrivare a destinazione, in almeno un tentativo,
perché e’ stata fatta oggetto di colpi di arma da
fuoco. Alla fine, due giorni dopo, un’ambulanza e’
riuscita ad arrivare ma le condizioni della donna erano
fortemente peggiorate. Da allora, ha subito cinque
operazioni.
Sia a Jenin che a Nablus, le Idf hanno impedito alle
organizzazioni di soccorso medico e umanitario di
raggiungere le aree dei combattimenti, anche dopo
che questi erano cessati.
Le Idf hanno bloccato i soccorsi medici per giorni,
hanno sparato direttamente contro le ambulanze o le
hanno fatte oggetto di colpi di avvertimento. Gli
autisti sono stati minacciati o arrestati. Nel frattempo,
i feriti rimanevano per ore privi di assistenza o
venivano curati nelle abitazioni e i morti rimanevano
nelle strade o nelle case per giorni. In diversi casi,
persone sono morte in circostanze nelle quali
l’impossibilita’ di accedere a cure mediche puo’ aver
causato o favorito il loro decesso.

Demolizione di case e proprieta’

“C’e’ una devastazione totale, non c’e’ una casa
rimasta completamente in piedi, e’ come se qualcuno
avesse raso al suolo un’intera comunita’. Se qualcuno
si trovava in casa, e’ impossibile che sia
sopravvissuto… Non c’e’ altro se non macerie e gente
che si muove intorno attonita. Dalle macerie arriva
odore di morte
”. Queste sono le parole di un delegato
di Amnesty International che e’ entrato nel campo
profughi di Jenin il 17 aprile, alcuni minuti dopo che le
Idf avevano tolto il blocco.
Le Idf sono entrate a Jenin e Nablus con carri armati
e bulldozer, spesso abbattendo le facciate degli edifici.
Ad Hawashin e nelle aree intorno al campo profughi di
Jenin, sono stati distrutti 169 edifici con 374 unita’
abitative, nella maggior parte dei casi dopo che i
combattimenti erano cessati. A seguito di cio’, 4000
persone sono rimaste senza casa.

Sia a Jenin che a Nablus vi sono stati casi in cui le Idf
hanno distrutto abitazioni ancora abitate: le Idf hanno
dato un preavviso inadeguato, oppure non ne hanno
dato affatto, prima che le case venissero abbattute e
in seguito non hanno preso misure per soccorrere le
persone intrappolate sotto le macerie, impedendo
inoltre ad altre di prestare soccorso. Amnesty
International ha documentato tre episodi del genere,
in cui sono rimaste uccise 10 persone. La morte di
altre persone, ricoverate presso l’ospedale di Jenin, e’
stata attribuita alla distruzione delle proprie
abitazioni.

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