martedì, settembre 21, 2004

SUDAN: LE CONCLUSIONI DELLA MISSIONE DI AMNESTY INTERNATIONAL IN DARFUR

Disperazione delle persone che hanno perso ogni cosa, negazione delle proprie responsabilità da parte del governo, delusione per la lentezza con cui si sta affrontando la crisi: è questo il quadro che emerge dalla missione svolta da Amnesty International in Darfur dal 14 al 21 settembre.
Si è trattato della prima visita in Sudan e dei primi incontri con rappresentanti del governo di Khartoum da parte di un organismo non governativo internazionale per i diritti umani dallo scoppio della crisi. Con una significativa differenza rispetto al passato, Amnesty International ha avuto libero e completo accesso al Darfur: i suoi delegati hanno visitato Al Jeneina, Nyala e Al Fasher e hanno incontrato alti rappresentanti governativi sia in Darfur che a Khartoum, così come esponenti di organismi internazionali e della società civile.
La visita ha confermato le precedenti analisi di Amnesty International: villaggi attaccati dalle milizie sostenute dal governo, e in alcuni casi assistite sul campo dalle forze armate sudanesi; uccisioni di civili; saccheggi e incendi delle abitazioni.
La delegazione di Amnesty International ha visitato diversi luoghi in cui i villaggi erano stati rasi al suolo o abbandonati e ormai quasi ricoperti dalla vegetazione e ha visto cammelli, capre e bovini condotti al pascolo dai pastori nomadi su terreni precedentemente abitati dalle tribù di agricoltori.
I delegati dell'organizzazione per i diritti umani hanno raccolto testimonianze di prima mano da parte di persone sfollate, nei campi e nei villaggi del Darfur occidentale e a Nyala, nel Darfur meridionale. Due donne hanno descritto l'attacco e il bombardamento, nel mese di febbraio, da parte delle milizie janjawid, del loro villaggio nei pressi di Nuri (Darfur occidentale) e la conseguente uccisione di circa 130 persone. Erano stati assassinati così tanti uomini che è toccato alle donne seppellire i morti. Poiché, inoltre, non c'era spazio per seppellirli tutti, alcuni corpi sono stati sistemati in un rifugio; di notte, le milizie janjawid sono arrivate e vi hanno dato fuoco.
«Se alcuni rappresentanti del governo hanno ammesso l'esistenza di violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario, altri hanno negato nel modo più totale. Questo è un insulto alle vittime» ha dichiarato Irene Khan, Segretaria Generale di Amnesty International, che ha guidato la missione in Sudan.
«Lo sfollamento continua: la gente viene sradicata dalle proprie terre a causa dei combattimenti e degli attacchi deliberati compiuti ai danni della popolazione civile» ha affermato Bill Schulz, Direttore Esecutivo di Amnesty International USA, descrivendo l'arrivo di 3000 persone al campo di Kalma.
I delegati hanno incontrato anche profughi delle tribù nomadi, situati nel campo di Musai nei pressi di Nyala, e hanno raccolto testimonianze speculari di uccisioni e stupri commessi dai gruppi ribelli. Amnesty International condanna nel modo piu' fermo tutte le violazioni del diritto umanitario commesse dai gruppi politici armati.
Amnesty International riconosce lo sforzo del governo sudanese di aumentare la presenza della polizia nel Darfur. Tuttavia, si tratta spesso di personale poco equipaggiato. Inoltre, la delegazione ha appreso che la polizia non svolge indagini sulle denunce e che alcuni janjawid sono stati assorbiti al suo interno.
«A causa dell'evidente stato di insicurezza e dell'assenza di provvedimenti sugli abusi commessi in passato, la gente non ha fiducia nel governo: non si sente tranquilla nei campi, è terrorizzata fuori dai campi. Chiunque abbiamo incontrato ci ha detto con estrema chiarezza che non ci sono le condizioni di sicurezza per rientrare nei villaggi» ha detto Samkelo Mokhine, presidente di Amnesty International Sudafrica e componente della missione. «In questa situazione, l'unico rimedio è un massiccio incremento degli osservatori. Per accrescere la fiducia della gente e migliorare la sicurezza, ora occorre una presenza internazionale in ogni distretto».
Amnesty International esprime apprezzamento per la proposta di aumentare il numero di osservatori dell'Unità Africana. «Tuttavia, non è solo questione di numeri. Occorre rafforzare il loro mandato e la loro operatività. Gli stessi osservatori delle Nazioni Unite devono essere enormemente aumentati di numero e dotati di adeguate risorse per svolgere il loro incarico. Ma gli indicatori su cui misurare i progressi nella protezione dei diritti umani devono essere qualitativi e non quantitativi. Non si tratta solo di avere più poliziotti, ma di garantire che siano in grado e abbiano la volontà di proteggere la popolazione» ha precisato Irene Khan.
«Ripristinare la sicurezza è essenziale per consentire il ritorno volontario degli sfollati, in condizioni di incolumità e dignità. Non si deve sottovalutare l'importanza di garantire queste condizioni, altrimenti c'è il rischio che la pulizia etnica possa mettere in moto ulteriori tensioni tra le etnie» ha aggiunto Irene Khan, sottolineando che lo sfollamento prolungato potrebbe avere conseguenze sull'equilibrio demografico della regione.
La delegazione di Amnesty International ha verificato che le 'zone di sicurezza' istituite dal governo sudanese non forniscono protezione reale agli sfollati. «Le Nazioni Unite dovrebbero convincere Khartoum ad abbandonare questo concetto insistendo invece sull'attuazione del 'Piano di azione', già sottoscritto, con l'obiettivo di migliorare la sicurezza in tutto il Darfur fermando le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario, rispettando il cessate-il-fuoco, disarmando e smantellando le milizie e ponendo fine all'impunità. Le autorità ci hanno detto che hanno arrestato, incriminato e punito alcuni janjawid; tuttavia, approfondendo alcuni casi giudiziari ad El Jeneina e Nyala ci siamo resi conto che il fenomeno dell'impunità persiste ampiamente» ha sottolineato Irene Khan.
Amnesty International ha accolto positivamente la richiesta del Consiglio di Sicurezza di istituire rapidamente una Commissione internazionale indipendente - un passo che l'organizzazione raccomandava da mesi - col compito di indagare sui crimini di guerra e crimini contro l'umanità e stabilire se sia stato commesso un genocidio.
La delegazione ha concluso che la situazione umanitaria nel Darfur rimane estremamente precaria, nonostante il libero e pieno accesso degli aiuti umanitari. «La regione non possiede le infrastrutture necessarie per consentire operazioni umanitarie di vasta scala per un lungo periodo di tempo. Se lo sfollamento proseguirà, se l'accesso verrà meno, se l'assistenza e l'attenzione internazionale caleranno, c'è ancora il rischio che la crisi si trasformi in una catastrofe. Il Darfur deve rimanere nell'agenda della comunità internazionale fino a quando la sua popolazione non sarà in grado di vivere in libertà e in sicurezza» ha concluso Irene Khan.

This page is powered by Blogger. Isn't yours?